Bossi si sfila: «Vediamo quanto regge»

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MILANO — Fine del film. La Lega è all’opposizione. Da domani, in teoria: quando a Montecitorio approverà  il maxiemendamento atteso dall’Ue. In realtà , da ieri: il fotogramma della svolta mostra Roberto Calderoli inseguito dai cronisti che gli chiedono se il Carroccio parteciperà  o meno al summit di maggioranza. Il ministro alla Semplificazione taglia corto: «No».
Il tempo delle discussioni è scaduto la sera prima: con Silvio Berlusconi che a palazzo Grazioli ha tentato in tutti i modi di persuadere i padani della necessità  del percorso scelto. Ma, appunto, nulla da fare. In realtà , ieri di abboccamenti ce ne sono stati: Radio Montecitorio parla dei tentativi di Alfano, Fitto, Lupi. Ma la risposta è stata la stessa: «Impossibile». Infine, in serata, la Cassazione: Umberto Bossi. «Noi restiamo fuori — spiega —. Dal di fuori si può controllare meglio. E vediamo quanto reggerà  questo governo». E poi, «qui non c’è un programma né un progetto. Ammettiamo che si tocchino le pensioni o altre cose, non è che noi possiamo dare la fiducia a priori». Il piano, tuttavia, non è quello di sparare a tutto ciò che si muove: «Da fuori puoi contrattare volta per volta». Ma neppure si può parlare di appoggio esterno. L’ultima proposta di Berlusconi prima di vedere i leghisti lasciare palazzo Grazioli: «No, non lo chiamerei così. Io starei al di fuori a vedere le cose, su alcune possiamo essere d’accordo, su altre no». Poi, Calderoli è passato all’attacco: «Se fossero vere le indiscrezioni rispetto alla composizione e ai sostenitori del futuro governo, saremmo di fronte a un esecutivo politico e di evidente connotazione ribaltonista». Per il quale il ministro non esita a parlare di «banda Bassotti».
L’ultimo a rilanciare è Gian Paolo Gobbo da Treviso, il segretario della Liga veneta: «L’unica alternativa accettabile sarebbe un governo Alfano-Maroni che ci porti alle elezioni». Dopodiché, fine delle trasmissioni. Anche se il premier insiste sul fatto che con il Carroccio c’è ancora spazio. Quel che i leghisti non riescono a togliersi dalla mente è un sospetto velenoso: «Berlusconi — racconta un dirigente — all’inizio sembrava deciso a battersi per un governo di centrodestra diverso. Poi, boom: è arrivata la bastonata violentissima dei fondi americani nei confronti di Mediaset. E tutto è cambiato». Ma come, anche la Lega tira in ballo il conflitto di interessi? «Veda un po’ lei…».
Dopo le prime ore di euforia per la ritrovata libertà , nel Carroccio c’è chi comincia a provare un certo horror vacui: «E se Monti dovesse riuscire nella missione, come ci presenteremmo nel 2013? E se occorre salvare il Paese, avrà  senso sparare sui barellieri? E se le misure anticrisi sono quelle che chiede l’Ue e ci apprestavamo ad approvare anche noi, ha senso intralciare il manovratore?».
Tutte domande da girare a Roberto Maroni, il vero stratega della svolta. Un suo fedelissimo scuote la testa: «I dubbi sono normali, ma Bobo tornerà  da dove siamo partiti, il territorio. Per contrattare con Roma da Regioni forti, da una parte, e ridare visibilità  ai nostri temi, appannati da quasi un decennio di governo, dall’altra». Il primo appuntamento della «nuova» Lega (per il momento solo quella lombarda) è già  fissato: il 27 novembre a Brescia si ritroveranno tutti gli amministratori, sindaci e presidenti di Provincia, per il summit che vuole segnare la discontinuità  con gli anni «della mordacchia». Inoltre, osserva l’amico del ministro, «il periodo che abbiamo di fronte non è lunghissimo, nel 2013 comunque si vota. Da oggi a quel giorno noi avremo il tempo, oltre che di riorganizzare il partito, di impostare il rapporto con il Pdl su basi nuove». Senza contare, conclude con un sorrisetto, che un «Pdl che continua a essere al governo potrebbe consentirci una grande crescita». E pazienza per Emma Marcegaglia, che ieri si è congratulata con Maroni augurandosi che possa «rimanere al governo come tecnico».


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