Borse in picchiata, Milano -4,7% L’Europa brucia 194 miliardi

by Sergio Segio | 22 Novembre 2011 7:45

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NEW YORK – Non più solo eurozona: torna il debito Usa, si confermano i timori sulla crescita cinese. E’ un triplo choc ad avere riaperto ieri la settimana dei mercati, travolti dal pessimismo su più fronti: in Europa la Francia che rischia il downgrading e la vittoria dei conservatori spagnoli che non rassicura i mercati; in America il nuovo stallo sui tagli al deficit federale rilancia le paure di altri downgrading; perfino la Cina registra un calo della fiducia e un deflusso di capitali, mentre le prospettive della crescita di tutta l’Asia sono intaccate dalla crisi europea. I primi passi del governo Monti sono diventati ieri quasi un evento secondario, rispetto ad altri focolai di paura.
Alla fine della giornata, l’indice Stoxx 600 dei principali titoli quotati nel Vecchio Continente ha ceduto il 3,19%. I miliardi volatilizzati sono 194 miliardi (di cui 15,8 solo a Milano dove la Borsa arretra del 4,74%). Il differenziale di rendimento tra il Btp decennale italiano e il bund tedesco tocca un massimale di 487.
Ma anche Wall Street ieri ha avuto un tonfo significativo: il Dow Jones ha chiuso in ribasso del 2,11% e il Nasdaq dell’1,92%. Per la prima volta dopo molte settimane in cui la piazza americana si era mossa al traino delle convulsioni di sfiducia verso l’eurozona, ieri invece la settimana si è aperta con un nuovo focolaio di crisi tutto domestico. L’impasse del supercomitato bipartisan, i “dodici saggi” che dovevano decidere i tagli al deficit, ha rimesso al centro dei timori di Wall Street lo stato della finanza pubblica americana. Esiste in teoria una “mannaia automatica”, un taglio pre-costituito di 1.200 miliardi di dollari in dieci anni, che deve scattare in caso di mancato accordo; ma qualcuno al Congresso già  parla di aggirarlo soprattutto per salvare il budget militare.
La questione della spesa per la difesa è uno dei punti che dividono i democratici dai repubblicani, questi ultimi essendo tradizionalmente più vicini alle lobby del complesso militar-industriale. L’incertezza torna a dominare Washington, per lo stallo di ogni dialogo bipartisan, una situazione pessima per i mercati. A prescindere dalla credibilità  della “mannaia automatica”, il fiasco annunciato del supercomitato riporta alla luce una crisi di leadership nella più grande economia del pianeta.
L’Europa non è da meno, e anche ieri ha continuato a macinare brutte notizie. Contrariamente a quanto prevedevano alcuni, il voto spagnolo non ha offerto una tregua all’eurozona, anzi all’indomani del trionfo di Rajoy il rendimento sui titoli pubblici di Madrid dopo un benefico calo in mattinata ha ripreso a salire già  nel pomeriggio. Hanno contribuito le difficoltà  di un istituto di credito, il Banco de Valencia, costretto a chiedere il salvataggio pubblico. E se l’euro ha relizzato un timido rimbalzo sul dollaro (tutto causato dalla sfiducia sul debito Usa), le incognite dell’eurozona restano troppe. Moody’s conferma la possibilità  di declassamento del rating alla Francia (mentre è Fitch, la terza agenzia di rating, a minacciare di downgrading gli Usa). Mentre cresceva ieri l’attesa per il vertice a tre Merkel-Monti-Sarkozy dove si dovrebbe discutere anche la creazione di “stability bond”, ogni ottimismo è stato smorzato dal portavoce del governo tedesco: «Gli eurobond non risolverebbero i problemi alla radice». Doccia fredda anche da Atene dove il leader del partito conservatore si è rifiutato di garantire il suo sostegno al piano di salvataggio.
Ormai neppure l’Asia riesce a fungere da locomotiva: si moltiplicano i segnali che la caduta della domanda sta trascinando al ribasso anche le esportazioni di Cina, Giappone, Corea del Sud. Il Wto, che sperava in una crescita del 6,5% nelle esportazioni mondiali per il 2011, ora rivede il dato al ribasso e ipotizza un più 5,8%.

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