Berlino, dieci giorni per salvare l’euro
BERLINO – Iniziano i dieci giorni che salveranno o sconvolgeranno l’Europa e il mondo, e Berlino è l’epicentro del ciclone. Per Angela Merkel il tempo stringe, deve scegliere se intestardirsi nell’ortodossia rigorista o concedere più poteri di soccorso alla Bce. Sarebbe una concessione grossa, ma i falchi alzano la testa. Un piano per l’abbandono dell’euro da parte della prima potenza economica europea è pronto. L’ha elaborato Dirk Meyer, professore all’università Helmut Schmidt di Amburgo, l’ateneo più prestigioso della Bundeswehr, le forze armate federali. Scenario fantapolitico, ma val la pena raccontarlo. Anche se intanto il governo suggerisce che, in cambio della riforma rapida dei Trattati Ue proposta coi francesi come somma di accordi bilaterali, «ci sarebbe nella Bce una maggioranza favorevole a interventi più decisivi sui mercati».
Il piano del professor Meyer è scandito in fasi concrete. Tutto comincerebbe un qualsiasi lunedì. A sorpresa, cittadini tedeschi e residenti nella Repubblica federale troverebbero ogni sede, filiale o sportello di banca chiusa: in quel giorno, gli istituti di credito esamineranno tutti i conti e depositi. La decisione è stata presa nel week-end da una seduta d’emergenza del governo. Passano 24 ore, martedì le banche riaprono. Cominciano a distribuire alla clientela banconote euro diverse dalle altre, perché hanno una stampata di inchiostro magnetico, o a sostituire quelle non timbrate con le nuove. Alle frontiere della Repubblica federale, e nei movimenti di capitali, in ogni bonifico da e per oltre confine, cominciano intanto controlli severi ed efficienti.
Occorre evitare che stranieri, o tedeschi non residenti in Germania, tentino d’introdurre nel territorio nazionale banconote euro venenti da fuori, per cambiarle con quelle timbrate con l’inchiostro magnetico anti-falsificazione. Il processo di separazione è cominciato. Le banconote euro non timbrate cominciano a svalutarsi rispetto alle altre. Lo Stato aiuta le banche nazionali che hanno depositato investimenti, conti, patrimoni all’estero, anche nell’eurozona. Poi viene il passo successivo: dopo circa due mesi dal timbraggio dei biglietti, la Germania annuncia la sua uscita dall’eurozona. Da sola, o insieme ad altri paesi, «euro-rinnegati». Magari Finlandia, Olanda o altri falchi monetari. Un altro lunedì di chiusura permette alle banche di convertire tutti i conti e depositi dall’euro, che diventa rapidamente una moneta più debole, alla nuova valuta, la quale si apprezza sull’euro del 25% in media. Tutti i tedeschi e tutte le persone o aziende residenti o con sede in Germania hanno diritto a cambiare. Finché la distribuzione della nuova valuta non è finita trascorre un anno, in cui gli euro timbrati hanno il loro ruolo di mezzo di pagamento col valore della nuova divisa.
Poi arriverebbe l’impatto dei costi. Per banche e assicurazioni, perdite fino a 225 miliardi, lo Stato forse dovrebbe provvedere. In tutto, costi tra i 250 e i 340 miliardi, cioè dal 10 al 14 per cento del prodotto interno lordo della quarta economia mondiale. Una mazzata per la Germania e per il mondo. Ma restare nell’euro assumendosi i costi di una Transferunion (un’unione monetaria in cui eurobond o spese Bce o Fesf trasferiscano risorse dal nucleo duro forte ai paesi deboli) secondo il professore costerebbe di più, cioè 80 miliardi di dollari l’anno. Tesi estrema, ma anche l’istituto Ifo di Monaco ammonisce che l’euro con eurobond e più spese costerebbe a Berlino, tra finanziamenti e garanzie, 560 miliardi, quasi il doppio dei 306 miliardi di bilancio federale annuo.
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