by Sergio Segio | 2 Novembre 2011 7:13
MILANO – La peggiore seduta di sempre per le banche italiane coincide con la peggiore situazione di sempre delle banche italiane. Schiaffeggiate dagli investitori, vessate dai regolatori, in guerra per i liquidi dei clienti, timorose di dover ritirare certi prestiti e sicure che la loro redditività ventura risentirà di questo semestre nero. Nelle stime rese dall’ad di Unicredit Federico Ghizzoni, lunedì, gli istituti italiani avranno tra due anni una redditività media del 5% sul capitale, la metà esatta delle rivali europee.
Intanto a Piazza Affari la capitalizzazione sommata dei primi cinque istituti è scesa per la prima volta sotto la soglia di 40 miliardi di euro. Quattro anni fa Intesa Sanpaolo e Unicredit si contendevano il primato del valore in Italia, sfidando quota 100 miliardi. Una vita fa. Ieri Intesa Sanpaolo ha perso il 16,8% (record negativo in una seduta) a 1,087 euro, quindi vale 17,68 miliardi. La rivale Unicredit ha perso il 12,44% a 0,74 euro, e capitalizza 14,34 miliardi. La terza forza, Monte dei Paschi, ha perso il 10,2% a 0,303 euro, valore 3,5 miliardi. Seguono Ubi banca (-6,81%, 2,32 miliardi) e Banco popolare (-8,9%, 1,73 miliardi). Se uno le volesse tutte quante dovrebbe sborsare appena 39,58 miliardi; ma è solo un calcolo di scuola. Gli addetti ai lavori non vedono compratori dietro la porta delle banche italiane, anche se la durezza del contesto potrebbe preludere a un futuro di fusioni “forzate”, di un clamoroso ritorno della mano pubblica nel credito, o di «shopping estero». Gli ultimi due scenari sono stati evocati anche dal presidente di Intesa Sanpaolo, Giovanni Bazoli, lunedì.
Perché siamo arrivati a tanto, non è vero che le banche italiane siano solide e meno rischiose? Forse è anche vero, il problema è che i regolatori non valorizzano questi aspetti (è spalancata la polemica sui criteri usati dall’Eba per rafforzare il sistema, imputando un deficit di patrimonio di 14,7 miliardi alle big bank italiane, la metà di quelle francesi, un terzo di quelle tedesche), e che gli investitori puniscono il “rischio Italia”, che diventa “rischio banche italiane” nel momento in cui la raccolta si paga carissima (è basata sullo spread dei Btp sul Bund tedesco, ieri schizzato a 442 punti base).
«Il contesto è sempre lo stesso sui mercati, da diversi mesi – spiega Antonio Guglielmi, che guida la ricerca Mediobanca Securities e ha appena vinto la Bloomberg Survey come miglior analista bancario d’Europa –. Il problema è che i governanti d’Italia, Francia, Germania non l’hanno compreso appieno. Con il calo di ieri gli investitori dicono tre cose: il referendum greco conferma che fare gli europei rispettando le democrazie nazionali è un serio problema; che il mercato ha scaricato l’Italia, unico emittente sovrano i cui bond ieri sono rincarati; che l’Eba dopo i due stress test inutili ha fatto un altro buco nell’acqua, con una gestione solo politica dei criteri del rafforzamento attuale». Dei 106 miliardi di euro di fabbisogno per le banche europee stabilito dall’Autorità bancaria, Guglielmi stima che meno di metà si trasformerà in ricapitalizzazioni. «Invece vedo spazio per ulteriori ribassi nel settore», conclude.
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