Atene, resa di Papandreou governo di unità nazionale un europeista sarà premier
ATENE – George Papandreou alza bandiera bianca e lascia la guida della Grecia a un governo di unità nazionale. La svolta è arrivata nella tarda serata di ieri dopo un tesissimo faccia a faccia tra il premier ellenico e Antonis Samaras, leader dell’opposizione di centrodestra di Nea Demokratia, alla presenza del presidente della Repubblica Karolos Papoulias. I due si incontreranno di nuovo oggi assieme ai rappresentanti dei loro partiti per designare il nuovo presidente del Consiglio. L’obiettivo dell’esecutivo d’emergenza – precisa una nota – è quello di incassare entro metà dicembre la rata di 8 miliardi di aiuti da parte di Ue, Bce e Fmi, necessaria per evitare il crac, e ratificare l’accordo del 27 ottobre con la Troika che spiana la strada a un nuovo salvagente internazionale da 130 miliardi. Portati a casa questi due risultati, Atene – presumibilmente a inizio 2012 – andrà al voto anticipato.
Il compromesso raggiunto tra Papandreou e Samaras – ex compagni di camerata e di studi (qualcuno sussurra anche di scappatelle) all’Amherst College in Massachussets – chiude una settimana di fuoco per Atene, iniziata con la richiesta di referendum di Papandreou e chiusa con l’impasse sul futuro politico del Paese. Il premier ha accettato di farsi da parte subito, senza pretendere di gestire in proprio la sua successione. Il numero uno di Nd ha invece accettato in toto le condizioni imposte dalla Troika al Paese, rinunciando alla richiesta di elezioni immediate, definite «una iattura» dal suo rivale. Resta da sciogliere il nodo del nome del nuovo presidente del Consiglio: in pole position ci sarebbe Lucas Papademos, ex vicegovernatore della Bce, una figura super-partes ben vista dai mercati. Ma non sono escluse sorprese.
Resta da capire se l’intesa sia un bene o meno per la Grecia e per l’Europa. Bruxelles – preoccupata per la maggioranza risicata di Papandreou – dovrebbe essere soddisfatta, visto che da tempo è in pressing su Samaras per convincerlo a farsi carico dei guai ellenici. Non foss’altro perché è stato proprio il governo guidato da Nea Demokratia a truccare i conti di Atene.
I greci invece restano scettici. «L’uno o l’altro pari sono», dice Ioannis Kariotis, libraio di Stadiou che entro un paio di settimane, racconta, chiuderà il suo negozio causa crisi. Certo Atene non è mai riuscita ad innamorarsi del 59enne Papandreou, un tecnocrate educato a Harvard e alla London School of economics cui nessuno perdona – come dicono qui – «il Greeklish», un greco parlato con inquietante accento americano. Ma il vero problema, dicono gli osservatori, è la mancanza di alternative. Il Pasok è una satrapia di correnti divise tra vecchissima e vecchia guardia (volti nuovi non se ne vedono) e per aree geografiche o dinastie familiari. Il centrodestra è ritenuto da tutti responsabile di aver portato il Paese nelle mani di Fmi e Ue e campa oggi solo grazie alla rendita accumulata in due anni di opposizione alle misure di austerità volute dal Pasok. E nella società civile – assieme al rifiuto delle ricette della Trojka – è cresciuto il virus dell’anti-politica, assieme un evidente malumore anti-tedesco.
Morale: da eventuali elezioni – dicono tutti i sondaggi – non uscirebbe un vincitore certo anche se Nea Demokratia sarebbe il primo partito. Un problema serio visto che la Grecia è ben lungi dall’essere risanata. Il rapporto deficit-pil continua a salire, come la disoccupazione arrivata tra i giovani al 40,1%. Il prodotto interno lordo (-5,5% nel 2011) scende da tre anni consecutivi. Ad Atene hanno chiuso due negozi ogni dieci e gli stipendi sono stati tagliati in media del 25-30%. Il lavoro da fare è molto. La tensione monta. La mossa di Papandreou di cambiare tutti i vertici militari («una decisione prevista», minimizzano al Pasok) è stata vista con una certa apprensione da ambienti diplomatici della Capitale. Magari nelle prossime ore arriverà il nuovo governo di unità nazionale. Ma la strada per salvare Atene dal crac è ancora tutta in salita.
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