Anche l’Etiopia attacca gli Shabaab

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Quella etiope sarebbe la più importante incursione armata dopo quella contro i tribunali islamici del 2006 In Somalia continua l’offensiva del Kenya contro le milizie islamiche degli Shabaab. Secondo il portavoce dell’esercito, maggiore Emmanuel Chirchir, le Forze di difesa kenyote, sostenute dai soldati del Governo federale transitorio di Mogadiscio e con l’appoggio di navi da guerra, hanno distrutto due campi di addestramento dei miliziani a Hola Wajeer, nel distretto di Badade, a Juba: accampamenti utilizzati – ha detto il maggiore – anche da al-Qaeda per addestrare i propri combattenti stranieri. Nei giorni scorsi, gli scontri armati con gli insorti islamici si sono intensificati tra le città  di Tabto e Dobley e hanno provocato – secondo fonti militari – la morte di almeno 10 combattenti e decine di feriti.
Sabato scorso, circa mille soldati provenienti dall’Etiopia avrebbero raggiunto le regioni di Galgadud e Hiran, nella parte centrale della Somalia e avrebbero obbligato i miliziani islamici ad abbandonare numerosi villaggi, spingendoli a chiudersi nei distretti di Beled Weyne, Elbur e Mahas. Domenica, gli Shabaab hanno però minacciato di «spezzare le reni» all’esercito etiope. «Soldati agli ordini dei nostri nemici, i colonialisti neri dell’Etiopia si stanno muovendo nella nostra regione, ma non ci fanno paura», ha dichiarato alla radio Sheikh Yusuf Ali Ugas, uno dei capi Shabaab, attivo nella regione di Hiran (nella parte centrale del paese). «Se il nemico etiope tenta di attaccarci, spezzeremo le reni agli invasori, le nostre truppe sono pronte a tutto», ha detto ancora il miliziano. Il portavoce del ministro etiope degli Affari esteri, Dina Mufti, ha tuttavia smentito l’intervento armato del suo paese.
Quella etiope sarebbe l’incursione armata più importante dopo l’invio di truppe contro i tribunali islamici nel 2006, compiuto col sostegno di Washington e terminato nel 2009. Allora, l’opzione militare non era riuscita comunque a pacificare il paese, distrutto dai conflitti e privo di governo effettivo dal 1991. L’insorgenza degli Shabaab ha tenuto in scacco il governo di transizione di Sheik Sharif Ahmed, che non ha il controllo del territorio nonostante l’offensiva condotta dall’Amisom contro le milizie islamiste li abbia costretti a lasciare la capitale Mogadiscio. Già  ai primi di agosto, il presidente del Governo federale di transizione aveva date per vinti gli Shabaab, ma in ottobre un attentato suicida a Mogadiscio aveva ucciso oltre cento persone. E l’operazione militare Linda Nchi – lanciata nel sud somalo dalle forze kenyote il 14 ottobre col pretesto di stroncare una serie di sequestri di operatori internazionali (che però gli Shabaab hanno sempre negato) – ha già  provocato sanguinosi attentati da parte degli islamisti radicali.
Intanto, quella contro gli Shabaab sta assumendo sempre più i caratteri di una partita internazionale che ha la Somalia solo come quadro di partenza. Il Kenya ha avviato una intensa attività  diplomatica, sia a livello regionale che internazionale. Dopo una riunione di coordinamento tra il Governo federale di transizione di Sheik Sharif Ahmed e il presidente dell’Uganda Museveni, organizzata a Nairobi a metà  novembre, il Kenya ha chiesto di far parte della missione Amisom (e l’Unione africana ha dato il suo assenso). Secondo l’Amisom, per sconfiggere gli Shabaab ci vorrebbero almeno 20.000 soldati (ora ce ne sono in campo 9.700, essenzialmente ugandesi e burundesi e altri 3.000, provenienti da Gibuti e dalla Sierra Leone dovrebbero arrivare entro la fine dell’anno).
Un protagonismo per conto terzi (Usa e Francia), quello di Nairobi, che ha beneficiato di circa 700 milioni di dollari di aiuto militare. Il primo ministro kenyota, Raila Odinga ha inoltre effettuato un viaggio in Israele, ottenendo l’assicurazione che Tel Aviv farà  il possibile per aiutare il Kenya a mettere in sicurezza le proprie frontiere. Pronta la replica degli Shabaab: «Vogliamo dire ai musulmani che condividiamo la stessa religione, la stessa fede e lo stesso Dio. È loro responsabilità  sostenere i fratelli musulmani in Somalia, visto che i cristiani kenyoti sono andati a cercare sostegno degli ebrei in Israele».


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