Allarme rosso in vista della Grande assemblea

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In vista di questi due appuntamenti, che seguono a ruota l’incontro di Istanbul sulla cooperazione regionale, organizzato dai governi di Turchia e Afghanistan a inizio novembre, tutti stanno affilando le armi. Più o meno pacificamente.
In vista di Bonn lancia un appello una vasta coalizione di ong e associazioni della società  civile (tra cui l’italiana «Afgana») che fanno capo alla rete della European Network of NGOs in Afghanistan (Enna), preoccupata che «Bonn2» si risolva in una passerella di buone intenzioni col compito di coprire il disimpegno deciso dalla comunità  internazionale: che ai soldati potrebbe ritirarsi definitivamente lasciando nel paese solo i cocci di dieci anni il cui bilancio è più un fallimento che un successo.
I taleban, in vista della Jirga del 16 novembre, hanno invece minacciato i partecipanti, considerati «traditori» e, per farsi beffe di Karzai, ieri hanno fatto sapere di avere in mano la «mappa della sicurezza» dell’Assemblea. Il governo ha respinto la minaccia ma la guardia resta alta – anche perché all’ultima Jirga, un anno fa, un paio di razzi avevano raggiunto la kermesse nonostante la presenza di soldati e poliziotti.
Quel che più preoccupa però è il vuoto politico che circonda quella che, ancora prima di Bonn, appare, più che un esercizio di democrazia «tribale» (la jirga è il luogo tradizionale del confronto tra i clan) una passerella a uso e consumo del presidente. Karzai ha sentito l’obbligo di chiarire, giocando su un’interpretazione univoca del significato di jirga, che si tratta di un momento «consultivo»: consigli al governo che poi deciderà . La decisione finale in realtà  è già  presa, ma Karzai cerca un avallo al piano di cooperazione strategica con gli Usa, già  santificato in diverse conferenze, che fissa al 2014 il termine per la transizione dei poteri e un appoggio indefinito degli americani che, non è chiaro in quale forma, in Afghanistan resteranno. Aspetto controverso, perché il parlamento ha già  criticato l’accordo tra il governo e la Nato, sostenendo che viola la sovranità  nazionale. L’altro argomento riguarda il processo di pace, il negoziato con i Taleban al momento bloccato, su cui nemmeno Karzai ha una linea chiara. Chissà  se emergerà  in questi giorni.
La Jirga rischia insomma di essere un fallimento: in parlamento Karzai è senza maggioranza e la società  civile afghana, attraverso le sue reti e associazioni, teme, al solito, che la jirga bypassi le sue richieste facendosi beffe dei pochi diritti faticosamente acquisiti (specie per le donne) e limitandosi a decidere quanto già  deciso.
Il ruolo della società  civile, in Afghanistan e durante Bonn, è il focus del documento delle ong europee che temono che siano ignorate le richieste che vengano dal basso. A Bonn, come nella jirga, il rischio è che tutto sia deciso al chiuso di quattro pareti, senza meccanismi di verifica e senza che venga dato ascolto a chi in Afghanistan dovrebbe contare di più: i cittadini. Ma la richiesta più interessante di Enna riguarda il processo di pace: Bonn, dice il documento, dovrebbe indicare in che termini debba agire un mediatore di alto profilo. Proprio quello che manca a un negoziato di cui non si sa molto. E quindi a rischio. 


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