Al mercato delle profughe
Per una vergine si pagano anche 30mila dollari, per questo vengono vendute tante bimbe «Farrah è una ragazzina irachena rimasta orfana nel 2003 e trasferita a Baghdad dove è stata presa in custodia da un’infermiera che invece di proteggerla l’ha torturata per tre settimane e messa in mano ai trafficanti per la vendita a un offerente di Dubai. Dopo essere riuscita a scappare, Farrah è stata fermata dalla polizia e quando anche i trafficanti sono stati arrestati, la piccola si è ritrovata in cella con i suoi torturatori per sei mesi». A parlare è Iman Abou Atta, una donna che ha fondato, e oggi dirige, S.C.E.M.E. (Social Change Through Education in the Middle East), un’organizzazione che promuove i diritti umani e si occupa di trafficking in Medio Oriente. «E’ stata questa vicenda a darmi l’input per cercare di capire come mai una donna trafficata fosse trattata da criminale», racconta Iman a ridosso della presentazione del report Karamatuna (La nostra dignità ), presentato dieci giorni fa a Londra, in cui si legge che più di 4.000 irachene mancano all’appello dal 2003 a oggi. Un report scritto sulla base dei dati raccolti da organizzazioni che lavorano in Medio Oriente, tra cui Human Rights Watch, UNICEF, Amnesty International e l’ONU, che hanno incontrato e intervistato donne in Siria, Giordania, Libano, Kuwait, Emirati Arabi, Arabia Saudita, Iran.
«Quel che sappiamo – continua Iman – è che il traffico sessuale è cominciato in Iraq nel 2001, l’invasione americana ha facilitato le operazioni criminali. Ci sono ancora milioni di profughi iracheni in Siria e anche in Giordania, che come richiedenti asilo non possono lavorare, e di questi profughi moltissime sono donne, soprattutto vedove di guerra, costrette a prostituire se stesse o le figlie. A volte le ragazzine vengono anche vendute dalle famiglie, e molte di loro diventano vittime di traffico sessuale, soprattutto quelle di cui non si ha più notizia e che dalla Siria e dalla Giordania vengono smistate in tutti i paesi del Medio Oriente».
Come Leyla, 14 anni e unico sostentamento di una famiglia di profughi iracheni a Damasco, o Salma, forzata a 15 anni dal padre a un matrimonio a tempo (mut’a), ripudiata dopo 48 ore e venduta al confine siriano dal padre a uno sconosciuto che, dopo averla stuprata per giorni, l’ha obbligata a prostituirsi in un night club per poi cacciarla una volta rimasta incinta.
«I prezzi variano dai 5 dollari in su – conclude Iman – ma per una vergine si arriva anche a 30.000 dollari, ed è per questo che ci sono molte bambine di 9-10 anni, mentre per quelle che non sono più vergini esiste un dolorissimo intervento per la ricostruzione dell’imene. La cosa assurda è che, anche se la maggior parte dei trafficanti sono uomini, ci sono molte donne, spesso trafficate a loro volta, che fanno da mediatrici e che si mettono alla ricerca di ragazzine orfane o in fuga in quanto abusate o costrette al matrimonio. Ormai questo traffico non è più controllabile, soprattutto per la situazione di instabilità che c’è in Medio Oriente, e l’unica cosa da fare è quello che stiamo cercando di fare noi, cioè costruire un solido network di ong con centri di accoglienza per le vittime di trafficking che quando vengono catturate dalla polizia sono oltretutto condannate per crimini morali e indecenza. Un incubo che, dopo la guerra, per loro non è ancora finito. Certo, se i profughi iracheni potessero lavorare nei paesi ospitanti, forse alcune famiglie rinuncerebbero a vendere le proprie figlie come prostitute per avere reddito».
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