A Montecitorio i «ribelli» si organizzano

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ROMA — Berlusconi alza al cielo gli occhi cerchiati dalle occhiaie, posa la mano sinistra su quella destra immobile di Umberto Bossi e poi, col viso segnato ma non ancora rassegnato, prende i tabulati che Laura Ravetto gli porge. Eccoli qui i nomi, uno dopo l’altro. Antonione, Buonfiglio, Destro, Gava, Malgieri, Pittelli, Stagno d’Alcontres, Stradella… E quando Bersani dal suo scranno prende la parola e lo incalza, quando gli chiede di «non ignorare» quel 308 (per lui) a 321 (per le opposizioni), il presidente del Consiglio annota su un foglio bianco il suo umor nero.
I sì sono 308 e otto i «traditori». E dunque è un «ribaltone», scrive il premier, dunque all’orizzonte non c’è che il voto anticipato, ma prima tocca «prendere atto» e rassegnare le dimissioni. È il momento più drammatico e dall’alto delle tribune i teleobiettivi dei fotografi lo consegnano alla storia di una giornata già  scritta, il cui esito il Cavaliere sperava di riuscire a sventare. E invece, finisce peggio delle più fosche previsioni. Alfonso Papa non ottiene il permesso di votare dagli arresti domiciliari e Francesco Nucara non riesce a lasciare il letto della clinica in cui è ricoverato. L’estrema beffa è Gennaro Malgieri, che non fa in tempo a rientrare in Aula dai bagni di Montecitorio: «Ero andato a prendere una medicina…». Per farsi depennare dalla lista dei traditori, al già  direttore del Secolo d’Italia toccherà  scusarsi dal suo scranno: «Signor presidente, vorrei chiedere scusa a lei e all’assemblea per essermi assentato in un momento cruciale». Come avrebbe votato? «Nessun retroscena, avrei votato sì».
Ma il verdetto è lì, scolpito sul tabellone luminoso che Berlusconi fissa sgomento: presenti 309, votanti 308, astenuti uno, maggioranza 155. La Camera approva. Il Rendiconto dello Stato finalmente passa, ma la maggioranza non c’è più. Fuori piove a dirotto. Dentro, onorevoli e membri del governo si aggrappano smarriti ai tabulati del voto. Chi sono gli assassini del governo? Dei sei «ribelli» dell’Hotel Hassler solo Giorgio Stracquadanio e Isabella Bertolini seguono le indicazioni del premier. Roberto Antonione, Giustina Destro, Fabio Gava e Giancarlo Pittelli scelgono invece il non voto «per coerenza» e così fa, un po’ a sorpresa, anche l’ex finiano Antonio Buonfiglio. Non tornano indietro Santo Versace, Calogero Mannino e i tre appena saltati sul carro di Casini, cioè Alessio Bonciani, Ida D’Ippolito e Gabriella Carlucci. E la grande fuga non è finita. L’ex dc Franco Stradella si astiene «per segnalare il malessere del Paese» e per il Pdl è uno choc. Quando tutto è finito l’ex ministro Elio Vito lo raggiunge nella galleria dei presidenti e lo ammonisce: «Ti sei sbagliato Franco, è vero?». No, Stradella non si è sbagliato e nemmeno il siciliano Francesco Stagno d’Alcontres, il barone di Scuderi che aveva chiesto al Cavaliere soldi per la «sua» Giampilieri. Non ha votato neanche lui, proprio come i nemici giurati del premier. «Traditori», li ha bollati così. Un termine che brucia dentro a quanti, al fianco di Berlusconi, hanno costruito una carriera. «Lui non può chiamarci traditori — si addolora Giustina Destro, ex pdl — Io non tornerò indietro». E Pittelli si scaglia contro gli «yes men» che hanno illuso il presidente, dicendogli «sempre di sì». È un illuso Denis Verdini, che fa di conto e spera di riportare le sue pecorelle nel recinto? «Tra assenti, malati e persuasibili si può arrivare a 319», sussurra all’orecchio del premier il coordinatore per tirargli su il morale.
Prima del voto si sparge la voce che quattro centristi voteranno con la maggioranza. Girano persino i nomi: Volontè, Poli, Marcazzan e Tassone. Ma non è vero niente, le carte coperte sono due, Stradella e Stagno e ad averle in mano è Casini, non Berlusconi. La partita però non è chiusa, non ancora. Luciano Sardelli cerca dieci «dubbiosi e coraggiosi» disposti a fondare con lui la «Costituente popolare», nuova componente dentro il gruppo misto. All’ora di pranzo vedrà  cinque dei fuoriusciti e proverà  a battezzare la creatura: «Conto su Stradella, Versace, Pecorella e spero che Antonio Milo sia dei nostri». Ma il deputato campano, conteso da Enzo Scotti e Nicola Cosentino, nega deciso: «Ho mai detto che avrei votato con le opposizioni? No. Resto nella maggioranza, io». Sarà  Sardelli, con garbo, a spiegargli che la maggioranza è diventata minoranza…


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