by Sergio Segio | 2 Ottobre 2011 7:03
ROMA – L’unica bandiera del Pd la tiene stretta il signor Alvisi, in prima fila. È arrivato da Bologna: «Mi interessa il dialogo che si sta svolgendo qui – spiega – ora parla la mia assessora». Sul palco c’è Amelia Frascaroli, assessore di Sel nel comune guidato dal democratico Merola. Prima di lei, strappa applausi un altro dei “nuovi amministratori”, il sindaco di Cagliari Massimo Zedda. La manifestazione di Sinistra e Libertà colora piazza Navona di bianco e di rosso. La riempie, alla fine sono oltre dieci mila. In alto, palloncini candidi tengono su la scritta: «Ora tocca a noi», e Giulia, che è arrivata dalla Puglia, dice: «C’è un momento in cui ci si risveglia, ma bisogna anche credere nel proprio risveglio».
Ci crede Nichi Vendola, che ha organizzato tutto questo per dire a Pd e Idv: «Guai a pensare a un nuovo Ulivo dove siamo noi tre che ci riuniamo. Dobbiamo tenere aperto il cantiere dell’alternativa: aprire le porte ai giovani, ai maestri, ai ricercatori, alle donne, insomma al mondo». Con lui ci sono Antonio Di Pietro e Arturo Parisi. Si abbracciano, si mettono in posa per le foto, reduci dal successo della raccolta firme per il referendum elettorale. Il convitato di pietra è Pier Luigi Bersani: «Dove sei?», chiede dal palco un polemico Leo Gullotta. È un pezzo di quel mondo dello spettacolo che affolla il retroscena: i pugliesi Sergio Rubini e Riccardo Scamarcio, Valeria Golino, Fiorella Mannoia, Dario Vergassola. «Veltroni perde pezzi», maligna un dirigente Sel.
Di Pietro attacca: «C’è un parlamento criminale, come il comportamento di quel ministro delle Riforme che invoca la secessione e vuole distruggere il Paese. E Maroni è eversivo». Poi lancia una stoccata al Pd: «Io e Vendola saremo alla manifestazione democratica del 5 novembre, noi non ci vergogniamo di andare nelle piazze degli altri». Polemiche a parte, prevale il tentativo di dialogo. Il leader di Sel comincia il suo discorso ringraziando Napolitano per le parole contro la secessione. Cita i mali dell’Italia di oggi, il «crescendo rossiniano di manovre finanziarie drammatiche». Si scalda e urla fino a farsi venire il fiatone quando parla di lavoro: «L’articolo 8 è un colpo alla nuca della civiltà del lavoro». Attacca Sacconi: «Una delle note di vergogna più acute nella sinfonia del governo». Maroni: «Un volto fintamente presentabile che non ha più i titoli per parlare di lotta alla mafia, dopo aver benedetto il salvataggio del ministro Romano». Poi Tremonti: «Al netto di Berlusconi, e perfino di Milanese, lui è la malattia, non la medicina». Critica Casini per il suo avallo totale alle richieste di Confindustria, ma con il mondo dell’impresa – «che non sta tutto nel recinto di viale dell’Astronomia» – vuole dialogare, a partire dai concetti di stabilità e innovazione. Poi chiede: «Non viene mai, il tempo della patrimoniale?». Molti dei temi che solleva lo mostrano lontano dal Pd: le critiche alla Bce, il no assoluto alla privatizzazione delle muncipalizzate. Ma a Bersani, Di Pietro, e anche a Casini, Vendola dice: «Dobbiamo fare le primarie, presto. Non saranno un concorso di bellezza, ma una discussione in mezzo al popolo su come si esce dalla crisi, e su come si ricostruisce il Paese».
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