Unicredit, Profumo indagato per frode fiscale

by Sergio Segio | 19 Ottobre 2011 5:54

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MILANO – «Il fine è di evadere le imposte» attraverso operazioni finanziarie che trasformavano interessi in dividendi su cui venivano pagate imposte pari a solo il 5% dell’ammontare. Con questa accusa, il procuratore aggiunto Alfredo Robledo ha chiesto e ottenuto di sequestrare 245 milioni di euro a Unicredit, la banca che ai tempi delle presunte evasioni fiscali era guidata da Alessandro Profumo. E proprio l’ex amministratore dell’istituto milanese è finito sotto inchiesta per aver posto la sua «sigla sulle relative e articolate richieste di approvazione dell’investimento in strumenti partecipativi di capitale, emessi da società  lussemburghesi appartenenti al gruppo Barclays». Ben 17 manager di Unicredit, tra i quali Ranieri De Marchis, ex direttore finanziario, Vittorio Ogliengo, ora a capo della divisione Corporate e Gabriele Piccini country manager per l’Italia, sono indagati. Con loro tre banchieri di Barclays che operavano nella filiale milanese, attiva nella finanza strutturata.
L’operazione, denominata Brontos, consisteva nel depositare soldi presso Barclays come se fossero stati parte di un contratto di pronti contro termine e su questo la banca incassasse dei dividendi. In realtà , era un deposito interbancario. Ma «se la banca – scrive il giudice nel decreto di sequestro – avesse realmente effettuato un deposito interbancario su Barclays, gli interessi attivi ricevuti da Barclays, al termine dell’operazione, sarebbero stati interamente imponibili». Invece, i dividendi per la legge fiscale sono deducibili al 95%. Grazie a questo giochetto, il risparmio per Unicredit è stato secondo l’accusa di 128 milioni di euro per l’anno 2007 e di 117 milioni per il 2008. Da qui, l’importo del sequestro preventivo.
Che il tutto poi fosse stato costruito apposta per evadere il fisco, lo dimostrerebbe un appunto che il Nucleo tributario della Guardia di Finanza di Milano ha trovato durante i sequestri. In particolare nell’ufficio di Stefano Porro, responsabile dell’Area active balance sheet management di Unicredit. Qui è stata trovata una borsa e dentro di essa alcuni documenti cartacei scritti a mano. Su un foglio, Porro avrebbe riportato i dettagli dell’operazione, una vera e propria pistola fumante se fosse confermata anche in dibattimento, perché si indicano chiaramente i fini dell’operazione. «L’ottimizzazione fiscale», si legge nel documento, è indicata come vero e proprio «obiettivo» e non come mero effetto. E si mette nero su bianco «la conoscenza sostanziale dei meccanismi e dei vantaggi controparte (seppur non contrattualizzati)».
Per due anni, Unicredit ha investito risorse portando a casa un tasso superiore a quello di mercato, mentre Barclays ha raccolto fondi a un tasso inferiore a quello di mercato. «A farne le spese – scrive il giudice – è stato un terzo soggetto rappresentato dallo Stato italiano». Ora quei soldi sono sotto sequestro.
«Unicredit è molto sorpresa per questa iniziativa che non cambia la convinzione della banca circa la correttezza del proprio operato e di quello dei propri dipendenti», ha commentato un portavoce.

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