Una spallata all’articolo 18 Sacconi rilancia il suo piano risarcimento e non reintegro

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ROMA – Riscrivere l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. C’è questo dietro la formula gelida sui licenziamenti contenuta nella Dichiarazione del vertice europeo di martedì notte, ma anche dietro il burocratese involuto della Lettera d’intenti del governo di Roma. Di nuovo l’articolo 18.
Solo per confondere le acque e rendere meno pesante l’impatto sull’opinione pubblica, si è parlato e scritto di nuove regole per i licenziamenti «per motivi economici». Ma non è questo ciò che vuole Bruxelles e che hanno chiesto i due banchieri Jean-Claude Trichet e Mario Draghi nella lettera inviata al presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, il 5 agosto scorso. I governi e le istituzioni europei hanno imposto al nostro Esecutivo di eliminare dalla legislazione la possibilità  (prevista appunto dal quell’articolo dello Statuto del 1970) di reintegrare il lavoratore ingiustamente licenziato. Al posto del rientro al lavoro, stabilito dal giudice, arriverà  un risarcimento economico, come avviene un po’ in tutta Europa e come già  è previsto per i lavoratori delle piccole imprese italiane. L’articolo 18 è “l’anomalia” che vale solo per le imprese con più di 15 dipendenti. E proprio questa norma agirebbe da vincolo – secondo una scuola di pensiero – alla crescita dimensionale delle nostre imprese: meglio piccoli che costretti a riassumere chi non ci piace. Anche se poi – stando ai dati di un’indagine della Cisl – solo il 7 per cento di chi ha ottenuto dal giudice il diritto ad essere reintegrato torna effettivamente nell’azienda. Nel 93 per cento dei casi si raggiunge un accordo monetario tra le parti.
Il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, conosce benissimo il canovaccio deciso dall’Europa, convinta, come peraltro lo stesso Fondo monetario internazionale, che il recente accordo tra Confindustria, Cgil, Cisl e Uil abbia fortemente annacquato l’articolo 8 della manovra economica. Il quale attraverso il meccanismo delle “deroghe” ai contratti nazionali puntava proprio ad aggirare non solo l’articolo 18 ma, potenzialmente, tutto lo Statuto dei lavoratori.
Un disegno di legge sui licenziamenti dovrebbe essere pronto entro la fine di quest’anno per poter immaginare – sempre che il governo non cada prima – che la riforma entri in vigore a maggio del 2012. La riforma dell’articolo 18 era già  finita in un binario morto in Parlamento nel 2002 dopo lo scontro durissimo tra il governo (anche allora guidato da Berlusconi e con Sacconi sottosegretario al Lavoro) e la Cgil di Sergio Cofferati. Ora, con il vincolo esterno europeo, si riapre la partita. La Confindustria è d’accordo. Tutti i sindacati hanno detto per ora di no.
Sacconi ha chiesto ai suoi tecnici di esaminare sulla base dell’esperienza tutto ciò che può «fluidificare» i licenziamenti economici collettivi. Attualmente la legge che disciplina i licenziamenti collettivi per motivi economici è la 223 del 1991. Legge che nessuno ha chiesto di modificare: né le imprese, né i sindacati. Il perno della legge è l’accordo tra le parti che permette l’accesso ai vari ammortizzatori sociali, dalla cassa integrazione alla mobilità  più o meno lunga. Diversamente da altre normative europee, la legge italiana scarica tutto il costo sulle casse dell’Inps (cig e mobilità ) mentre l’azienda che di fatto licenzia non paga direttamente nulla al lavoratore. Si vedrà  se il governo deciderà  di cambiare qualcosa su questo punto.
A cambiare potrebbe essere l’attuale meccanismo di finanziamento della cassa integrazione al quale non partecipano le imprese non industriali con meno di 50 dipendenti. L’Europa ha chiesto un nuovo sussidio di disoccupazione, uguale per tutti i lavoratori al di là  delle dimensioni della propria impresa e del contratto di lavoro. Sacconi non esclude di far partecipare al finanziamento della nuova cig le imprese che ora non lo fanno, applicando meccanismi di tipo assicurativo.


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