Una rete globale contro la violenza sulle donne
«Quando ho cominciato a lavorare nel ’90 in Messico la violenza contro le donne non era considerata un problema. Nel ’95, quando abbiamo fondato il movimento Donna contemporanea, abbiamo creato il primo centro anti-violenza a Città del Messico. È stato un lavoro lungo e faticoso ma già nel ’99, dopo l’approvazione della legge sulla violenza domestica in Messico, avevamo una rete nazionale dei centri anti-violenza che nel 2003 ha ottenuto, con grandi pressioni, finanziamenti governativi per costruirne gli altri rifugi che oggi sono più di 70 in tutto il paese».
A parlare è Margarita Guillé Tamayo, giornalista e psicologa messicana, che ha scelto di mettere al servizio delle donne la sua vita e che oggi, a poco più di 40 anni, è coordinatrice esecutiva sia della Rete interamericana sia del Comitato di politica internazionale del Global Network of Women’s Shelters, che riunisce tutti i centri antiviolenza del mondo e che oggi, a Roma e in veste di rappresentante della Rete globale, partecipa alla XIII Conferenza internazionale contro la violenza di genere che si svolge da stamattina, e per tre giorni, alla Protomoteca del Campidoglio con più di 50 esperte provenienti da tutto il mondo.
«Nel 2009, quando è stata fondata Global Network of Women’s Shelters, noi ci siamo ispirate a un’idea che ci balenava da tempo in testa: fare una rete con tutti i continenti del mondo. Nel 2006, al primo incontro, c’erano 10 paesi del continente americano e il Canada propose di fare una Conferenza interamericana che nel 2008 è diventata globale perché sono arrivati talmente tanti paesi che era diventata più grande del previsto. È stato così che, con la mia collega Rosa Logar della rete europea Wave, abbiamo deciso di portare questa lotta a livello globale per incidere nel disegno delle politiche dei nostri paesi supportandoci a vicenda e collegandoci da una parte all’altra della terra. E se penso che tra qualche mese, il 27 febbraio, avremo già il nostro II Convegno mondiale con 1.500 delegate, 90 workshop, 10 plenarie, 20 tavole rotonde mi rendo conto di quanta strada abbiamo fatto».
E non è un sogno perché Margarita Guillé è ben piantata con i piedi per terra e per rendere possibile lo slogan della Rete internazionale, «Un mondo uguale dove le donne con i loro figli vivano libere dalla violenza», sa che bisogna partire dalla realtà e avere la forza di contrastarla.
«Ultimamente UNWomen ha pubblicato un report sulla violenza a livello globale dove si stima che nel mondo una donna su tre vive una qualche forma di violenza di genere: un dato che dimostra come la violenza contro le donne sia molto più grave di quello che si pensa, soprattutto nei paesi dove non c’è uno stato di diritto consolidato e dove la qualità della democrazia è vulnerabile. Prendiamo per esempio l’Italia: il vostro è un paese bellissimo dove esiste un movimento delle donne consolidato, ma il bisogno urgente è che il governo consolidi la democrazia e permetta una partecipazione reale e più ampia delle donne in tutte le sfere decisionali, perché è dimostrato che dove le donne ricoprono ruoli strategici e decisionali, la vita per tutti i cittadini è migliore. La vita condotta in un clima di terrore e di violenza è terribile per ogni donna. Lo sai come ho cominciato a lavorare sulla violenza? Un giorno, durante una trasmissione radiofonica che conducevo, una donna mi chiamò disperata: era stata picchiata dal marito mentre era incinta, era stata presa a calci sulla pancia e aveva perso il bambino, e mi chiamava perché voleva raccontare la sua storia come monito per le altre donne. Poi un giorno questa donna mi ha richiamata, urlava disperata perché l’uomo stava sfondando la porta di casa sua, era venuto per aggredirla, e mentre era al telefono con me, sentivo lui che urlando la prendeva in giro, perché era inutile cercare aiuto alla radio, che potevo fare io dall’altra parte della cornetta? Poi il silenzio, la linea era caduta, non sapevo come fare. Non sono più riuscita a rintracciare questa donna, ed è stato lì che mi sono alzata dalla sedia e ho deciso di cominciare a lottare».
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