Una «strada a doppio senso» verso la pace

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Almeno prima (ma anche dopo…) del 20 novembre, giorno delle elezioni politiche anticipate che vedranno il trionfo annunciato della destra, il Partido popular di Mariano Rajoy. Di certo la destra non vorrà  lasciare questa carta ai socialisti. E anche «a sinistra» non sarà  facile accettare il principio che la fine del conflitto basco sia in qualche misura negoziata con «la banda terrorista» dell’Eta. Come pure il principio di un interlocutore internazionale a fungere da «facilitatore».
Tuttavia l’opportunità  c’è e con ogni probabilità  non è mai stata così vicina come adesso che l’Eta è indebolita al massimo, che la sinistra abertzale basca sembra aver scelto definitivamente la via politica-democratica per le sue rivendicazioni d’indipendenza.
E’ in questo contesto e per spingere avanti questa opportunità  che ieri si è riunita a San Sebastià¡n, nel Paese basco spagnolo, una «conferenza internazionale di pace» promossa dal movimento sociale basco Lokarri e dal Gruppo internazionale di contatto costituitosi a Bruxelles nel 2010 e guidato dall’avvocato sudafricano Brian Currin, in prima fila nelle mediazioni politiche che portarono alla fine dei conflitti in Irlanda del nord e nel Sudafrica dell’apartheid. All’appuntamento di Donostia (il nome basco di San Sebastià¡n), benché invitati, non erano presenti il governo Zapatero, il governo regionale (una coalizione spuria Pse-Pp) e il Partido popular, ma c’erano praticamente tutte le forze politiche basche (anche il Pse, la branca basca del Psoe), i sindacati (Comisiones obreras e Ugt). E, a livello internazionale, l’ex premier irlandese Bertie Ahern, che ha letto il comunicato finale in 5 punti, l’ex-segretario Onu Kofi Annan, il leader del Sinn Fein irlandese Gerry Adams, la ex premier norvegese Gro Harlem Bruntland, l’ex-ministro francese Pierre Joxe e Johnatan Powell, l’ex capo di gabinetto dell’ex premier britannico Tony Blair.
Attenti a non urtare suscettibilità  («non siamo venuti per imporre qualcosa ma con la speranza di offrire idee dalla nostra esperienza personale»), i «facilitatori» se proprio non li si vuole chiamare «mediatori», dicono, nel comunicato finale, che «quando c’è una vera opportunità  per arrivare alla pace, si deve approfittarne», ma «ci vuole coraggio, volontà  di assumersi rischi, impegni profondi, generosità  e visione da statisti». Per loro oggi «è possibile farla finita con più di 50 anni di violenza e raggiungere una pace giusta e vera». Come? Chiamando l’Eta a «una dichiarazione pubblica della cessazione definitiva delle attività  armate» e «a sollecitare un dialogo con i governi di Spagna e Francia per trattare esclusivamente delle conseguenze del conflitto» (allusione implicita a questioni quali la situazione degli 800 detenuti etarras e il disarmo del gruppo). Ma, punto due e più ostico, facendo appello «ai governi di Spagna e Francia a dare il benvenuto» all’eventuale dichiarazione «e accettare di iniziare conversazioni» per trattare «esclusivamente» di quei punti. Tre, invitare tutte le parti in causa ad avviare «passi profondi» verso «la riconciliazione» e «il risarcimento di tutte le vittime». Quattro, convocare un referendum democratico e quinto offrirsi come «comité de seguimiento de estas recomendaciones».
Come ha detto Gerry Adams «è una strada a doppio senso». Ed è questo che la rende impervia. Come dimostrano le prime reazioni. «Resistere alla tentazione dell’impunità », ha detto un organismo delle vittime del terrorismo Eta; «sarebbe un disastro morale trattare con equidistanza le vittime e gli assassini», ha dichiarato l’ex-premier del Pp Aznar; «La “conferenza di pace” accetta le condizioni dei terroristi», ha titolato l’ultra-destro quotidiano Abc…


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