Un golpe sociale affidato alla scure dei «tecnici»

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Ma c’è qualcosa di più. E riguarda il modo in cui arrivare a questo risultato. Suggeriscono al governo i tre: «tentate di arrivare a un accordo con i sindacati, ma i tempi potrebbero diventare troppo lunghi e l’inevitabile compromesso finale potrebbe non recepire al 100% quanto prescritto. Quindi, state pronti a procedere unilateralmente con un decreto legge, in tempi brevi».
Non ci dilunghiamo sul merito economico-sociale di questa proposta indecente. Invitiamo invece a riflettere sull’aspetto istituzionale e costituzionale. Tre istituti sovranazionali politicamente irresponsabili – nel senso tecnico del termine: non rispondono a nessun potere democratico – dettano le linee di politica sociale a un paese formalmente sovrano. E senza che quest’ultimo abbia mai formalmente ceduto tale potere.
Agiscono come strozzini in un garage metropolitano, con i soldi in una mano e il foglietto delle condizioni nell’altra. Il bisogno indebolisce sempre, abbassa le resistenze; o le moltiplica. Una popolazione di 11 milioni viene così espropriata del diritto basilare di formulare le proprie leggi. In primo luogo in materia di lavoro. E non per caso.
La democrazia viene bypassata a monte e a valle, sia nel luogo di formazione della decisione (gruppi di «tecnici» finanziari nominati per l’occasione), sia in quello di applicazione della decisione stessa. Le persone in carne e ossa vengono considerate alla stregua di alberi da abbattere, colline da spianare, ostacoli da rimuovere.
È una rottura difficilmente recuperabile nel processo di formazione dell’Europa. Ad Atene viene definito, passo dopo passo, per tentativi successivi, un format che potrà  poi essere applicato – con i dovuti adattamenti – a qualsiasi altro paese del Vecchio Continente.
È una politica stupida e suicida. Che ricorda da vicino il «piano Doves» imposto alla Germania dai vincitori della prima guerra mondiale. Affamò la popolazione, distrusse i sindacati e la sinistra, spianò la strada al nazismo.


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Sull’«ex-prato verde» della zona industriale di Melfi – dal 17 al 19 – non c’è stato un clima primaverile; né dentro, né fuori gli stabilimenti della Fiat. Ai cambi turno i giacconi avevano i cappucci tirati su per riparare da vento e pioggia battente, che hanno accompagnato le prime «elezioni» col nuovo contratto collettivo specifico che esclude le organizzazioni sindacali non firmatarie. Prima tra tutte la Fiom Cgil. 

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