Tutti i trucchi degli istituti per pagare meno tasse e sempre con i consigli dell’ex studio Tremonti

by Sergio Segio | 19 Ottobre 2011 5:54

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MILANO – Così fa(ceva)n tutti. I più grandi istituti italiani, navigando tra le norme – specie una sugli interessi su titoli statali di paesi emergenti – tra 2004 e 2009 hanno postato all’estero profitti realizzati in Italia. Con l’ausilio di banche terze – Barclays per Unicredit, ma molte altre straniere sono state clienti del resto del plotone – montavano operazioni strutturate per tenere un po’ di entrate fuori dal paese che vanta il tax rate alle imprese più alto d’Europa. E risparmiare qualche miliardo di euro in tasse.
L’Agenzia delle entrate non ha gradito e ha bussato ai loro sportelli con notifiche, accertamenti, istruttorie. Un anno fa le transazioni “minori”: Bpm per 200 milioni, Banco popolare per 210 milioni, poi Credem per 54 milioni. Ora stanno arrivando i pesci grossi: prima Unicredit, che, a parte il sequestro legato a “Brontos” (vedi sopra) resta intenzionata a transare entro l’anno, per un centinaio di milioni. Tra poco, secondo fonti legali, si uniranno Intesa Sanpaolo e Mps. Manca all’appello Mediobanca, potrebbe non tardare. Secondo stime degli analisti bancari, il Fisco ha chiesto al sistema tasse aggirate per 2-3 miliardi, e se tutte le banche sceglieranno i miti consigli potrebbe accontentarsi di un terzo del richiesto. Fino a un miliardo dunque.
Particolare degno di nota: il consulente fiscale che ha sbaragliato la concorrenza su questi dossier (se ne sono avvalsi Credem, Banca popolare di Milano, Unicredit, Intesa Sanpaolo, probabilmente altri) è lo studio Vitali Romagnoli Piccardi, quello fondato da Giulio Tremonti e da cui il ministro del Tesoro è uscito per la sua lunga attività  di governo, nel dicastero che guida tra l’altro il Fisco. Tra i banchieri ce n’è qualcuno scocciato perché, si dice, anni fa lo stesso studio avrebbe fornito dei nulla osta a procedere, che nel tempo hanno lasciato il posto a esortazioni a transare «perché il Fisco era arrabbiato, stavano pagando tutti, era più prudente», racconta uno di loro, che opera al Nord. Due pareri antitetici, due parcelle che si accumulano.
La banca di Piazza Cordusio, curiosamente, si stava accingendo a transare in sede civile, per 100 milioni si dice, quando è stata raggiunta dal fulmine della procura milanese sul penale. La rivale Intesa Sanpaolo, cui sono stati contestate operazioni effettuate nel 2005 per totali 588 milioni, aveva fatto ricorso in commissione tributaria. Ma negli ultimi mesi si stava accingendo a negoziare. Così dovrebbe fare Mps che – malgrado i ricorsi e malgrado in semestrale giudicasse «remota» l’ipotesi – starebbe allineando le aspettative del mercato su un forfait da 2-300 milioni.
A far capitolare le banche, dice un banchiere, è la strategia scientifica dell’Agenzia, che con un cambio di passo ha iniziato a contestare a tappeto 3-4 tipi di operazioni, a suo dire colpevoli di «abuso di diritto»: significa usare le norme al solo fine di aggirare o ridurre le aliquote. Due le tipologie più critiche: l’investimento in bond esteri che subivano la ritenuta fuori patria, poi detratta in Italia, e che hanno dato vita a fenomeni di “doppio impiego” (in cui detraeva anche lo straniero); e compravendite estero-Italia di azioni italiane prima dello stacco dividendi, per pagarci meno tasse sopra.

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