Turchia, il Pkk fa strage di soldati i ribelli curdi all’attacco: 24 morti

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Il “patto del diavolo”, il negoziato segreto fra i servizi turchi del Mit e il leader del Pkk, Abdullah Ocalan – ammesso all’inizio di ottobre dal premier turco Recep Tayyip Erdogan – non è riuscito. Una trattativa che aveva provocato sconcerto per la sua arditezza, ed era stata giudicata dall’opinione pubblica come «scandalosa». Il risultato, oggi, è un massacro di soldati – 24 in un agguato avvenuto nella provincia di Hakkari, vicino al confine con il Nord Iraq dove si rifugiano le cellule più pericolose dell’organizzazione – e l’immediata ritorsione turca, l’inizio della «grande vendetta» come l’ha chiamata il capo dello Stato, Abdullah Gul, con decine di morti fra i guerriglieri curdi.
La Turchia si è svegliata ieri mattina con una notizia che, a dispetto dell’euforia per il dinamismo di una politica estera che sta lanciando il Paese verso altri lidi abbandonando il progetto di entrare in Europa, ha riportato tutti per terra. Era dal 1993, quando furono uccisi 33 soldati di leva – che Ankara non assisteva a un eccidio così scioccante.
Ed è una vera guerra a bassa intensità , capace di lasciare ogni giorno sul terreno manciate di morti da una parte e dell’altra, quella in atto tra lo Stato e il Partito dei lavoratori del Kurdistan. In meno di 24 ore il Paese conta 32 vittime, fra cui tre civili (con una bambina di due anni) anche per una bomba lanciata martedì contro la polizia a Bitlis, nei pressi di Van, dove la guerriglia del Pkk imperversa. Ad Hakkari il blitz è stato invece portato su larga scala da decine di ribelli, dislocati a chilometri di distanza e preparato da tempo.
Erdogan ha subito cancellato la prevista visita in Kazakistan. Così ha fatto il ministro degli Esteri, Ahmet Davutoglu, con una missione in Serbia. Il responsabile degli Affari europei, Egemen Bagis, ha convocato l’ambasciatore della Ue ad Ankara, Marc Pierini, manifestandogli sconcerto per il presunto sostegno diretto o indiretto di alcuni Paesi europei al Pkk. E il presidente della Repubblica Gul ha avvertito che la «vendetta» sarebbe stata «enorme».
La successiva seduta di emergenza del gabinetto per la Sicurezza, a cui hanno preso parte Erdogan, i ministri di Interni e Difesa, e il capo dei servizi segreti, Hakan Fidan, fedelissimo del premier, ha portato alla ritorsione immediata. Già  a fine mattina le truppe avevano sconfinato oltrefrontiera, e l’aviazione aveva compiuto pesanti bombardamenti sui monti Qandil, in Nord Iraq, per colpire le basi dei ribelli. A metà  pomeriggio i guerriglieri uccisi risultavano 21.
Gli osservatori si chiedono tuttavia qual è stata la molla che ha fatto scattare l’attacco dei ribelli. Nei giorni scorsi Erdogan aveva dunque rivelato la trattativa in corso: «Certo che ci saranno incontri tra il Mit e il Pkk», aveva detto. Aggiungendo: «Perchè esiste il Mit? C’è per questo. Diciamo: “Vai amico e fai quello di cui c’è bisogno”». Eppure, la distanza fra le due posizioni è risultata infine inconciliabile e il piano irrealistico. Ieri, dopo aver rivendicato l’agguato, i vertici dell’organizzazione curda hanno fatto intendere che i continui bombardamenti turchi sui loro “santuari” in Nord Iraq, e soprattutto gli arresti di circa 300 fra sindaci e dirigenti del Partito della pace e della democrazia (Bdp), l’unica formazione politica curda presente in Parlamento ma considerata dalle autorità  come il braccio politico dei ribelli, sono stati i motivi dell’attacco.
Lo scorso anno il governo aveva varato una serie di riforme volte a concedere ai curdi maggiore autonomia e diritti di tipo linguistico-culturale. Le misure sono state però giudicate insufficienti dai politici curdi, che chiedono invece riforme più radicali come l’uso della loro lingua nella vita pubblica e nelle scuole, e la scarcerazione dei militanti. Fra cui quella dell’ergastolano Ocalan, il “diavolo” con cui si è cercato di venire a patti. Inutilmente.


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