Tunisia, l’ora di al Nahda

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Nell’assemblea costituente che dovrà  scrivere la costituzione della nuova Tunisia e nominare governo e presidente ad interim, l’impronta del partito islamo-conservatore al Nahda sarà  quasi prevalente. È schiacciante il successo ottenuto da questa formazione nelle prime elezioni libere e non manipolate del dopo Ben Alì, svoltesi domenica. Le proiezioni filtrate dal quartier generale del partito sono diventate più ottimistiche di ora in ora: le ultime parlano di un 40 per cento dei consensi, vale a dire circa 90 dei 217 membri che andranno a comporre l’assemblea costituente. Nelle circoscrizioni estere, però, al Nahda è andato anche meglio, assicurandosi nove deputati costituenti su 18. E allora si capisce perché le congratulazioni arrivate dalle principali cancellerie occidentali per la buona riuscita delle elezioni e l’alta partecipazione (ha votato quasi il 90 per cento degli aventi diretto) siano temperate da uno scetticismo latente che le fa sembrare pura prammatica. La vittoria “degli islamisti” nel giorno in cui, in Libia, il presidente del Cnt Mustafa Abdelili Jalil annuncia l’intenzione di imporre la sharia come legge fondamentale, è una coincidenza che ha il sapore di un fosco presagio e mette in luce le incongruenze occidentali che queste rivoluzioni le hanno sostenute, e non solo mediaticamente, e adesso si ritrovano con un raccolto che non avevano seminato. Paure fondate o solo un riflesso condizionato? Non è chiaro, anche perché la Tunisia arrivata alle urne dopo i 23 anni di Ben Alì e della sua autocratica presidenza è una realtà  troppo magmadica.

Quel che è certo è che al Nahda era il vincitore annunciato. Lo è sempre stato, sin da quando, il 7 febbraio scorso, in una conferenza stampa svoltasi a Tunisi, il leader del partito Rashid Ghannouchi annunciò il ritorno del partito sulla scena politica tunisina, dopo un ban imposto dal vecchio regime e durato 20 anni. In quell’occasione, il vertice del movimento rivelò il suo programma, poi divulgato in un libro di una cinquantina di pagine. Da allora, tanto Ghannouci quanto i suoi luogotenenti, hanno ripetuto allo sfinimento di essere impegnati nella difesa della democrazia, dei diritti delle donne, “il cui ruolo e il cui contributo alla vita politica, sociale e culturale deve essere accresciuto”. Nessuna teocrazia, insomma. L’orizzonte culturale e politico del partito, almeno a parole, non guarda a Teheran ma nemmeno al Cairo, visto che in più di un’occasione Ghannouchi e i suoi hanno criticato l’eccesivo conservatorismo dei Fratelli Musulmani. Ai quali pure guardavano, al tempo della fondazione. Al Nahda infatti è un partito con una storia, non lunghissima ma di tutto rispetto. Nacque nel 1981, fondato da Ghannouchi e da altri intellettuali che si ispiravano all’esempio dei Fratelli egiziani. Fu tollerato dal regime finché non divenne una minaccia alla stabilità  dello stesso, cosa che avvenne due anni dopo la presa del potere da parte di Zine el Abidine Ben Alì, quando nel 1989 la popolarità  del movimento era tale da consentirgli di raccogliere il 20 per cento dei voti, in elezioni fortemente manipolate come quelle del 1989.

Al Nahda è ripartito da qui. Esperienza ne aveva, le strutture anche. Al vertice del partito c’è, appunto, Rachid Ghannouci, tornato nei giorni successivi alla fuga di Ben Alì dal suo esilio britannico durato vent’anni e inseguito dai tre ergastoli ai quali era stato condannato dal regime. L’aura del martire ha giovato al suo leader, certificando in maniera inconfutabile la sua estraneità  alla corruttela e alle pratiche antidemocratiche del vecchio governo. Accanto a Ghannouci, c’è un consiglio dei membri fondatori e un ufficio esecutivo. In campagna elettorale, il partito ha mostrato di essere il più professionale, a livello di comunicazione e di penetrazione territoriale. E infatti ha vinto ovunque con percentuali sorprendenti. Nelle campagne e nelle città , sovvertendo l’antico andagio, non infondato, che vede i partiti d’orientamento religioso e conservatori più forti nelle aree meno urbanizzate e cosmopolite che nei grossi centri urbani. Un buon ritorno sulla scena, per un partito ambizioso, la cui vera stella polare è l’Akp del premier turco Recep Tayyip Erdogan, l’uomo che ha trovato la strada giusta per coniugare Islam e democrazia. Inutile azzardare ipositi sulla riuscita o meno del progetto di al Nahda. Non sarà  facile, dal momento che la società  tunisina è percorsa dagli spasmi che seguono regolarmente cambiamenti di ampia portata. Alcuni segnali non sono incoraggianti. All’inizio di ottobre, un migliaio di cittadini ferventi praticanti ha tentato l’assalto alla sede di un canale televisivo e alla casa del suo proprietario: il motivo è che, in un film animato andato in onda, Persepolis, ambientato nell’Iran della rivoluzione khomeinista, era presente una scena in cui dio era ritratto come un vecchio con la barba, e per l’Islam il ritratto in immagini della divinità  è blasfemia. Più o meno un mese fa, un gruppo di uomini armati ha assaltato l’università  di Tunisi per vendicare l’affronto subito da ragazze la cui iscrizione era stata rifiutata perché indossavano il velo. A giugno, un gruppo integralista ha attaccato il festival del cinema che si svolgeva nella capitale, per lanciare un segnale contro “l’eccessiva laicità  dello stato”. al Nahda dovrà  riuscire a rassicurare i mercati e i partner occidentali della Tunisia, mantenere fede alle promesse di lotta alla corruzione e rilancio della crescita economica, elementi centrali nel programma con cui ha vinto domenica, salvaguardando l’identità  islamica della società  tunisina ma anche quei diritti sviluppatisi in uno stato laico e ben prima della degenerazione autocratica di Ben Alì. Tutto questo, facendo argine a derive estremiste che sono possibili anche se non probabili. E che soprattutto non dispiacerebbero a molti. A maggio, un blog d’intelligence riportava il commento di un ex ministro dell’Interno tunisino secondo il quale, davanti ad una “minaccia islamica”, gli uomini legati al passato regime sarebbero entrati in azione con un golpe. Al Nahda, fortunatamente, non sarà  da solo: la vittoria è netta ma non assoluta, e quindi dovrà  stipulare un’alleanza con una delle altre due formazioni progressiste premiate alle urne: Ettakol, di Mustafa Ben Jafaar, e il Congresso per la Repubblica, di Moncef Marzouki. Un terreno d’intesa con uno o ambedue i partiti, Ghannouci e i suoi lo possono trovare. Si costituirebbe un blocco saldo, che darebbe stabilità  alla transizione. Per la Tunisia sarebbe una buona notizia.


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