Telefoni oscurati e siti web la guerra hi-tech dei Taliban

by Sergio Segio | 6 Ottobre 2011 7:12

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LASHKAR GAH – Puntualmente, alle 8 di sera, ogni sera, il segnale del cellulare in questa città  capoluogo di provincia scompare. Sotto la minaccia dei Taliban, i principali operatori spengono i loro ripetitori, tagliando di fatto i collegamenti con il resto del mondo. È quello che succede ormai in oltre la metà  delle province afgane ed è un esempio dei nuovi e più sottili metodi impiegati dai Taliban, a dieci anni dall’inizio della guerra, per far sentire la loro presenza, nonostante i generali della Nato parlino di una guerriglia indebolita, che fatica a mantenere il controllo del territorio.
È solo un esempio di un cambiamento più generale nella strategia del movimento integralista, che ora punta maggiormente su intimidazioni, omicidi mirati e attentati limitati ma eclatanti. I Taliban e i loro alleati della rete Haqqani di solito evitano di affrontare le forze della Nato in battaglie campali, ma sono riusciti a far saltare i colloqui di pace con il presidente del governo Karzai e cercano di preparare il terreno a un loro graduale ritorno al potere, man mano che la coalizione militare guidata dagli Stati Uniti riduce le operazioni militari nel Paese.
La provincia di Wardak, che confina con Kabul, è uno dei posti a rischio. È anche un posto dove i cellulari cessano di funzionare, in gran parte del territorio, per 13 ore al giorno. I Taliban vedono queste interruzioni del segnale come una linea di difesa, secondo i comandanti e i portavoce del movimento: se i telefoni sono spenti, gli informatori non possono chiamare gli americani per dare segnalazioni utili a eventuali raid e gli americani non possono usare strumenti di intercettazione per individuare la posizione dei guerriglieri. «Il nostro principale obbiettivo è rendere più difficile al nemico scovare i nostri mujaheddin», dice Zabiullah Mujahid, il portavoce dei Taliban per le zone orientali e settentrionali dell’Afghanistan.
Ma un effetto più generale è quello di ricordare alla popolazione che sono loro che comandano, non il governo. Hajji Mohammad Hazrat Janan, capo del consiglio provinciale di Wardak, riassume così la situazione: «In quelle aree dove esercitano un controllo diretto o indiretto, i Taliban pretendono l’interruzione del segnale dei ripetitori dalle 5 di sera alle 8 di mattina. Quindi noi sappiamo che ci sono».
I ribelli ottengono l’interruzione del segnale minacciando di far saltare in aria i ripetitori, o di darli alle fiamme. Alle compagnie telefoniche far ricostruire un ripetitore costa 200-250 mila dollari, e spesso i Taliban minacciano gli operai che vengono a ripararli. Un altro vantaggio della campagna contro i ripetitori è che non mette in pericolo le vite dei civili, coerentemente con i nuovi sforzi degli insorti per ricostruire la propria immagine.
Nell’apparente tentativo di mostrarsi più aperto, il mullah Muhammad Omar ha promesso, in un messaggio diffuso ad agosto alla fine del Ramadan, che quando i Taliban riconquisteranno il potere coinvolgeranno tutte le etnie del Paese, intratterranno rapporti amichevoli con tutti i Paesi e si impegneranno per sviluppare l’economia. L’Afghanistan ha «miniere ricche e grandi potenzialità  dal punto di vista delle risorse energetiche», ha detto il mullah Omar, aggiungendo poi, con vena larvatamente utopistica: «Con la pace e la stabilità  avremo la possibilità  di realizzare investimenti in questi settori e districarci dai tentacoli della povertà , della disoccupazione e dell’ignoranza». Professionisti e imprenditori saranno «incoraggiati», ha detto il leader talebano. Nessun accenno alle donne nel suo lungo messaggio, tradotto dal Site, il servizio di monitoraggio con sede nel Maryland che tiene traccia delle comunicazioni jihadiste.
«Siamo maggiormente interessati all’istruzione islamica; usano la tecnologia», dice un importante ex leader Taliban che vive a Kabul, il mullah Abdul Salam Zaeef, alludendo al forte uso di Internet da parte del movimento, con siti web e account su Twitter e su Facebook. «Vogliamo offrire un simbolo di istruzione islamica», dice. «Ma moderno. Però totalmente, al cento per cento, islamico».
(©The New York Times La Repubblica, Traduzione Fabio Galimberti)

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