Sviluppo, il premier cerca ancora un’«idea forte»

by Sergio Segio | 22 Ottobre 2011 6:48

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ROMA — La mattina al Quirinale, il pomeriggio a palazzo Grazioli. Il ministro dello Sviluppo economico, Paolo Romani, sta provando a stringere sul decreto sviluppo, ma manca ancora il via libera del ministro dell’Economia, Giulio Tremonti. Sciogliere il nodo spetta al presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. Che da una parte vuole dare risposte convincenti alla sollecitazione arrivata ieri dalla Commissione europea di varare presto misure per la crescita e dall’altra deve fare i conti con la mancanza di risorse, a meno di non prendere la strada scivolosa di nuove sanatorie fiscali o di aumento delle imposte (mini-patrimoniale, revisione degli estimi, ecc.).
Il tutto mentre il suo partito, il Pdl, è spaccato tra i sostenitori della linea del rigore tremontiana, perché «lo sviluppo non si fa aumentando la spesa pubblica», e chi come il capogruppo alla Camera, Fabrizio Cicchitto, ha messo in campo le ipotesi del condono e della minipatrimoniale, per finire alla fronda vera e propria di chi come Urso, Ronchi, Scalia, Crosetto, Di Girolamo e altri, con motivazioni diverse, sono contrari al decreto a costo zero come vorrebbe Tremonti. Ieri su questa linea è uscito allo scoperto anche il ministro degli Esteri, Franco Frattini: «Semplificazioni importanti daranno grande impulso alla crescita, ma occorrono risorse aggiuntive. Credo che con un po’ di fantasia si possano e si debbano trovare».
Berlusconi, ieri, ai suoi interlocutori ha spiegato che sta cercando «un’idea forte» con la quale presentarsi domani al Consiglio europeo. Ma al momento nella bozza di decreto questa idea forte manca. C’è un elenco di semplificazioni normative per velocizzare la realizzazione delle opere strategiche, ci sono gli incentivi fiscali per attrarre capitali privati sugli investimenti nelle grandi infrastrutture, c’è la decertificazione (lo Stato non può chiedere a cittadini e imprese certificati di cui è già  in possesso), ci sono norme sul fronte delle liberalizzazioni (energia, telecomunicazioni), misure per favorire il telelavoro, ulteriori sgravi contributivi sull’apprendistato, articoli per arrivare in tempi rapidi alle ricette mediche online e al fascicolo sanitario elettronico. Provvedimenti alcuni che potrebbero far risparmiare soldi allo Stato e alle imprese e altri che dovrebbero dare qualche impulso alla crescita. Ma certo, se si vuole puntare con decisione sul finanziamento di nuove infrastrutture, ricerca e innovazione, servono risorse.
Dall’interno della maggioranza un gruppo di parlamentari guidati da Maurizio Leo e Guido Crosetto ha messo a punto una proposta di «concordato di massa»: non un condono, ma un «accertamento con adesione» sulle dichiarazioni fiscali pregresse (si integrano i versamenti già  fatti) accompagnata dalla definizione agevolata delle liti fiscali pendenti. Misure che potrebbero dare 5 miliardi di euro di entrate. E trova ascolto presso qualche ministro anche la proposta della Coldiretti, di vendere i terreni agricoli gestiti attraverso amministrazioni ed enti pubblici che valgono oltre 6 miliardi. Ma Tremonti ancora non si è espresso. Il passaggio è delicato. Basta ascoltare il ministro dell’Interno, Roberto Maroni: «Se Berlusconi troverà  la ricetta giusta sul decreto sviluppo, arriveremo tranquillamente al 2013 e rivinceremo le elezioni, altrimenti, se alzeremo bandiera bianca, sarà  un disastro». E basta aggiungere le parole del tutto diverse del segretario del Pdl, Angelino Alfano: «Caricare il decreto sviluppo di attese salvifiche non è bene».

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