Strangolò il figlio autistico, Napolitano lo grazia
PALERMO – «Non un dramma della follia, ma un dramma della malattia», scrisse nelle motivazioni della sentenza il giudice che aveva condannato un padre per l’omicidio del figlio autistico accudito per anni in assoluta solitudine senza alcun aiuto dei servizi sanitari e sociali. Ieri, quel padre che da quattro anni sta scontando agli arresti domiciliari una condanna a nove anni e quattro mesi, ha ottenuto la grazia dal presidente della Repubblica.
Storia drammatica quella di Calogero Crapanzano, 63enne maestro elementare in pensione che, a giugno del 2007, portò suo figlio Angelo, 27 anni, nella campagna di Gibilrossa per fare una passeggiata e lo strangolò con il cavetto della batteria della sua auto. Poi, dopo aver caricato il corpo del ragazzo nel bagagliaio della sua auto, si presentò dai carabinieri e disse: «Ho strangolato mio figlio, era una vita d’inferno, non ce la facevo più, ma sono pentito». Arrestato e portato in manette davanti al giudice, fu immediatamente rilasciato e le sue prime parole furono ancora per Angelo: «Ora devo occuparmi della sepoltura di mio figlio e portarlo nella tomba di famiglia a Favara».
Il capo dello Stato ha accolto la richiesta presentata dall’avvocato Giuseppe Sciarrotta, per le particolari motivazioni umane e sociali collegate al gesto disperato del padre, caduto in un momento di sconforto perché abbandonato da tutti i pubblici poteri e costretto a gestire in perfetta solitudine, assieme alla moglie, anziana e malata, la difficilissima convivenza con il figlio. Calogero Crapanzano fidava moltissimo nella decisione di Napolitano: «Io e mia moglie abbiamo già passato 27 anni di galera. Io non posso andare in carcere. Sto male. Il presidente Napolitano ha un cuore di padre. Capirà il mio strazio».
Non era certo un padre che non si era mai curato del figlio Calogero Crapanzano. Tutt’altro, e il giudice Lorenzo Matassa, nelle motivazioni della sentenza con la quale lo condannò, gliene diede ampiamente atto. Agli inquirenti Calogero Crapanzano raccontò la sua vita di padre disperato alle prese in solitudine con l’autismo del figlio. Angelo aveva spesso reazioni inconsulte, non riusciva a controllare gli accessi d’ira e picchiava la madre. Discuteva per tutto, era preda di fissazioni, smontava e rimontava tutto quello che gli capitava tra le mani. Il padre aveva dovuto mettersi in pensione anticipatamente per badare a lui, con il figlio divideva persino il letto.
«Quel giorno in macchina, mio figlio gridava e si agitava, non faceva che ripetere che dovevamo smontare il condizionatore. Poi ha preso a mordersi le mani fino a farle sanguinare. Ho afferrato i cavetti che avevo in auto e l’ho ucciso. Ma sono pentito, lo giuro».
Poi lo sfogo contro lo stato di abbandono che lo ha portato all’esasperazione: «Troppe volte ho chiesto aiuto alle istituzioni. Ma mi prescrivevano solo psicofarmaci per il mio ragazzo». Messaggio perfettamente recepito dal giudice che, nel concedergli le attenuanti, osserva: «Una solitudine troppo pesante, quella vissuta dalla famiglia Crapanzano, ricordata anche nella sentenza di condanna in cui il giudice scrisse: ” L’assassinio non è tollerabile né scusabile, ma per quasi trent’anni Crapanzano ha dedicato interamente al figlio disabile la sua vita. In quale modo si tutela l’integrità delle famiglie che da questo male vengono travolte? La risposta, triste e disarmante, è purtroppo quella che implica l’assenza: nulla”.
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