Somalia, la strage degli studenti
Il camion avanza a fatica tra la folla accalcata al “K4”, snodo strategico che divide la Mogadiscio in mano alle milizie radicali islamiche degli Al Shabab e quella delle forze dell’Unione africana Amisom. Sobbalza sui dossi di sabbia e pietra, scivola nelle buche trasformate in crateri, supera le barriere dei soldati assonnati e frastornati dal caldo. Sono da poco passate le 11: l’autista del mezzo preme sull’acceleratore e si avvicina al cancello del compound dove sorgono i ministeri del Governo Federale di Transizione somalo (Tfg). Sotto quello dell’Istruzione sostano decine di studenti che si apprestano a sostenere un esame importante per il loro futuro. Hanno la possibilità di vincere una borsa di studio che li porterà in Turchia, lontani dall’inferno della Somalia. Con loro ci sono genitori, parenti, i soldati e i poliziotti di guardia.
Nessuno si accorge di niente. Il camion è imbottito di esplosivo e benzina. L’attentatore suicida lo fa saltare in aria proprio davanti al cancello di ingresso. Il boato è forte, l’onda d’urto impressionante. Spazza tutto ciò che si trova davanti: alberi, macchine, case. Le fiamme raggiungono la facciata del palazzo dei ministeri che inizia a bruciare. Per terra, in un raggio di quattrocento metri, ci sono solo detriti, pezzi di lamiera, mattoni e sassi. E poi corpi spezzati, frantumati, molti anneriti dal fuoco. Si contano almeno 70 vittime; trenta sono i dispersi. Accorrono le ambulanze, fanno la spola con il vicino ospedale Medina. Ma il recupero dei feriti è difficile. Colti di sorpresa, poliziotti e soldati, iniziano a sparare raffiche di fucile automatico in aria. Vogliono far defluire la folla che sbanda in preda al terrore. Temono che ci siano altre auto in giro, pronte ad esplodere. L’obiettivo del kamikaze era il palazzo dei ministeri. Lo dichiarano gli stessi Al Shabab che rivendicano l’azione: «Un nostro mujaheddin si è sacrificato per uccidere dei responsabili del Governo di Transizione Federale, dei soldati dell’Unione africana e degli informatori che si trovavano all’interno dell’edificio».
Ma in realtà i morti sono soprattutto civili: ragazzi, uomini e donne, che cercavano un’alternativa a una vita di stenti, di sofferenza e di violenza. Solo il ministro per la Pianificazione e un vice ministro della Salute restano feriti. Secondo tutti gli osservatori e analisti si tratta del più devastante attentato terroristico dal luglio del 2010 quando una duplice esplosione a Kampala, capitale dell’Uganda, causò 76 morti. Parole ed espressioni di condanna arrivano dall’Onu, dalla Gran Bretagna, dalla Francia, dall’Italia. Ma il nuovo e inaspettato camion-bomba ripropone il tema della Somalia. Il ritiro ad agosto scorso degli Shabab da molti quartieri di Mogadiscio era solo una mossa strategica in vista di una nuova offensiva che sta puntualmente avvenendo. Gli aiuti umanitari non arrivano a chi ne ha bisogno; le Ong non riescono a lavorare e sono costrette a lasciare il campo. La Somalia resta abbandonata a se stessa: stretta tra i pirati sempre più attivi anche sulle coste del Kenya, dove hanno rapito due turiste, e le milizie radicali islamiche decise a formare un emirato nel Corno d’Africa.
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