Sipario alzato sui beni comuni
La pratica costituente dei beni comuni, che dal basso sta erodendo le più consolidate strutture del potere, si presenta oggi pubblicamente in una conferenza stampa al Teatro Valle di Roma per presentare i risultati di un processo iniziato il giorno succesivo alla vittoria referendaria del 13 giugno e per tracciare le linee programmatiche del prossimo anno.
Sul piano giuridico-politico, il solo oggetto di questo scritto, la lotta per la riconquista del Teatro Valle ai beni comuni si è articolata fin qui in due fasi. In primo luogo, l’occupazione, avvenuta senza alcuna violenza su cose o persone, atraverso la quale una «comunità di utenti e di lavoratori» (articolo 43 della Costituzione) dello spettacolo ha intercettato il Teatro Valle in un passaggo assai pericoloso di «transizione» nella sua gestione fra il Ministero della Cultura ed il Comune di Roma. Questi passaggi, conseguenti all’abolizione dell’Ente Teatrale Italiano, costituiscono in verità forme di dismissione, veri «scaricabarile» istituzionali che aumentano esponenzialmente i rischi di privatizzazione. Infatti, in mancanza di uno statuto dei beni comuni – la cui disciplina, capace di difenderli, tracciata dalla Commissione Rodotà tuttora giace, mai discussa in Senato -, le entità volte al profitto possono proporre modelli di gestione o business plans che stridono con le utilità prodotte da un bene culturale importante come il Teatro Valle. Il rischio di trasformazione della cultura italiana in una Disneyland (sarà questo il disegno della Banca Centrale Europa?) va assolutamente scongiurato soprattutto nell’interesse delle «generazioni future» che hanno diritto di abitare un mondo in cui la memoria storica non viene completamente obliterata dalla subcultura consumistica. L’occupazione del Teatro Valle ha così bloccato la dismissione, mantenendo le utilità prodotte dal bene comune al servizio dei diritti fondamentali indispensabili affinché la persona non sia trasformata in consumatore.
Una cittadinanza attiva
La seconda fase giuridicamente rilevante è stata la costituzione, avvenuta il 2 agosto 2011, del «Comitato Aperto di promozione Sociale Teatro Valle Bene Comune», poi registrato il 6 ottobre scorso. Questa forma giuridica avente come scopo primario l’istituzione di una «Fondazione per la drammaturgia italiana e contemporanea Teatro Valle Bene Comune» è il soggetto legale deputato nel corso del prossimo anno a costruire le condizioni politiche ed economiche per istituzionalizzare definitivamente il Teatro Valle come bene comune, raccogliendo i fondi e governando il diversi conferimenti necessari.
Il processo si configura dunque come un passaggio graduale, qualificato da una strategia dell’inclusione e dell’accesso, la cui sfida è coniugare la prassi artistica con quella giuridico-politica, producendo un modello di azione diretta e cittadinanza attiva che già sta ispirando diverse altre esperienze in Italia (in primis il teatro Marinoni di Venezia occupato durante la Mostra del Cinema). Nel suo stesso farsi collettivo questo processo costruisce da subito un mondo più bello che denuncia la tristezza e l’insostenibilità della visione aziendalistica e burocratica della «realtà ». Non si tratta di mera esperienza estetica, anche se chiunque varchi il portone del Valle già vede il bello all’opera ed esce rinfrancato perché gli pare di vederee la luce in fondo al tunnel. Lo statuto del Teatro Valle, già nella sua attuale forma di Comitato poi ripresa nella più articolata proposta di Fondazione, contiene passaggi politicamente impegnativi. Innanzitutto la metodologia basata sulla «Organizzazione di iniziative di lotta volte alla realizzazione della Fondazione con tutti i mezzi giuridici e politici radicalmente non violenti salvo che proporzionali o per legittima difesa, inclusa l’occupazione di nuovi spazi riconosciuti come beni comuni nella città di Roma o altrove».
L’insostenibile precarietà
Questo linguaggio non può che contribuire al dibattito in corso dopo il 15 ottobre nel movimento per i beni comuni che certo in stragrande maggioranza rifiuta la violenza aggressiva ma che non rinnega, anzi rivendica, la fisicità della pratica politica. Altre indicazioni di grande interesse sul rifiuto militante della separazione fra arte, politica e diritto (tale separazione, è una strategia costitutiva dell’ immaginario miserabile della modernità ) si rinvengono nell’Articolo 4 dello Statuto della Fondazione: per esempio, «la promozione, in forma giuridica e politica, di tutti i collegamenti con le altre vertenze per i beni comuni necessari per il pieno riconoscimento della cultura come bene comune, della piena soggettività giuridica e politica dei lavoratori intermittenti, e della piena valorizzazione, anche economica, della cultura bene comune». O come afferma sempre lo stesso statuto: «la pratica attiva ed artistica del ripudio della guerra e di qualsiasi forma di dominio, di sfruttamento, di oppressione, includendo in ciò il precariato in ogni sua forma».
Lo Statuto del Valle bene comune è pienamente consapevole del suo essere un modello in chiaro antagonismo rispetto alle attuali concezioni egemoniche ed è in questo spirito volto a produrre un nuovo immaginario che si propone «La promozione della solidarietà e della cooperazione volta ad offrire un esempio virtuoso di governo del bene comune Teatro Valle anche al fine di promuoverlo come esempio a livello internazionale del talento italiano nella drammaturgia e della pratica creativa alternativa e condivisa per la tutela del bene comune cultura».
I principii generali
Al di là del linguaggio, che comunque veicola valori profondi persegiuti con la necessaria ironia e leggerezza, (i soci sono definiti comunardi sperando che le cose questa volta vadano meglio), vi sono molti elementi di grande interesse giuridico nello statuto che viene presentato oggi. In primo luogo, la consapevolezza del suo valore costituente. Lo statuto infatti non solo è informato all’attuazione reale di principi presenti nella Costiutuzione Italiana e troppo spesso confinati al livello di buone intenzioni nell’osceno teatrino della politica di palazzo, ma vuole anche essere un contributo che sgorga dalla prassi nella produzione di «principi fondamentali e costituenti della giustizia ecologica e solidaristica internazionale ed intergenerazionale». Insomma, un piccolo-grande passo nel ricondurre le «leggi umane» in armonia con quelle dell’ecologia.
In effetti lo Statuto, lungi dal limitarsi alla disciplina di una fondazione vista come suo «oggetto» vuole riflettere la forma viva e dialettica di un’entità collettiva fondata sull’accesso e sull’inclusione e lo fa proponendo una prima disciplina giuridica del bene comune cultura secondo una doppia strategia.
In primo luogo esso fa pienamente i conti con il legame intimo e non di rado conflittuale fra la dimensione giuridica dell’ “avere” e quella dell’«essere», elemento che si riflette nei due cespiti patrimoniali più significativi: «Il patrimonio della Fondazione è costituito dall’ aspettativa del pieno riconoscimento giuridico del del Teatro Valle da essa posseduto come Bene Comune», nonché «dal patrimonio conoscitivo e di lavoro di tutti i comunardi valutabile in quanto know how capace di aver riconosciuto il e ridato vita al Teatro Valle come bene comune durante la sua occupazione e di progettare e mettere in opera”gli obiettivi politici e culturali di cui al presente statuto».
L’eguaglianza sostanziale
In secondo luogo, lo Statuto stesso cerca di avere natura viva, capace di adattarsi ai contesti mutevoli, superando così i problemi di sclerotizzazione che spesso affliggono le fondazioni. A tal fine esso è articolato in quattro parti separate dal livello semantico ma unite nella funzione. Preambolo, Vocazione, Statuto e Codice Politico sono continuamente monitorate (dal Comitato dei Garanti) nella loro adesione alle pratiche reali, in tal modo scongiurando il fenomeno ipocrita del diritto disapplicato: lo Statuto contiene così già nel suo seno le forme affinché la Fondazione abbia «capacità di garantire, nei contesti in trasformazione, gli obiettivi della comunità raccolta intorno al Teatro Valle secondo i principi della cura del bene comune».
Esso codifica inoltre il principio di radicale eguaglianza sostanziale come precondizione politico-giuridica per declinare qualitativamente il bene comune come relazione. Nelle società dei beni comuni, la distribuzione dovrà venire prima della produzione sicché nello Statuto, che ne preconizza gli orizzonti, risorge il principio fondamentale «da ciascuno secondo le sue possibilità » applicato ai conferimenti, nonché quello altrettanto fondamentale per cui «tutti i Soci hanno uguali doveri e diritto ad un voto in Assemblea a prescindere dalla quota di partecipazione versata».
Una politica del valore d’uso
La cura dei beni comuni si fonda sui doveri ed i diritti di accesso sono ad essi strettamente connessi. La partecipazione autentica alla cura del bene comune è il dovere dei comunardi, che garantisce la fisicità primaria del rapporto e la primazia del valore d’uso su quello di scambio. Essa, quasi ironicamente, viene favorita istituzionalmente tramite decisioni prese a maggioranza qualunque sia il numero dei presenti, anche se non mancano eccezionali meccanismi di esclusione per l’inadempimento effettivo dei doveri sociali.
Elemento di importante sperimentazione, già attuato nello statuto del Comitato, è la natura turnaria dell’ esercizio di funzioni, per sconfiggere la dinamica del potere concentrato. L’organo esecutivo è turnario e viene eletto secondo il «duplice principio della partecipazione allargata della cittadinanza e dell’autogoverno delle lavoratrici e dei lavoratori dello spettacolo». Il potere concentrato, quale ne siano la marca e la forma, è il nemico politico dei beni comuni.
Infine lo Statuto sperimenta, sulla base di pregresse esperienze da «non ripetere», la piena e trasparente integrazione, già a livello di statuto, dell’ elemento gestionale con quello artistico. La «chiamata a proporre» attraverso cui si identificano direzioni artistiche e programmazioni, diviene così elemento politico fondamentale del rapporto dialettico e aperto fra il corpo collettivo dei comunardi e le esigenze della libera creatività artistica.
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