Sindacati conflittuali fuori dalla fabbrica l’obiettivo dello strappo del Lingotto

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TORINO – Nella nuova Fiat non c’è posto né per il sindacato conflittuale né per l’associazione degli industriali. Il Lingotto decide di rappresentarsi da sé per poter scegliere la rappresentanza sindacale che considera più funzionale alla sua strategia industriale. Tutto il resto è un avanzo del passato che «limita fortemente la flessibilità  gestionale».
Dietro la scelta di Marchionne di chiudere con Confindustria c’è il sogno di una nuova situazione delle relazioni industriali dove i sindacati critici restano fuori dalla fabbrica. E’ quello che la Fiat ha tentato di fare a Pomigliano con un accordo separato che la magistratura ha giudicato legittimo ma non applicabile proprio nella parte in cui prevede di estromettere la Fiom dallo stabilimento. Rimanere nel sistema di Confindustria significa accettarne i vincoli e tra questi quello di coinvolgere nelle trattative Cgil, Cisl e Uil, che con Confindustria hanno firmato accordi. Dunque anche la Fiom. A questo si riferisce l’ad del Lingotto quando nella lettera a Marcegaglia parla di «un quadro di incertezze che allontanano l’Italia dalle condizioni esistenti in tutto il mondo industrializzato».
Inutilmente ieri Confindustria e sindacati hanno risposto che l’uscita dall’associazione degli industriali non risolve i problemi lamentati dalla Fiat. Perché l’articolo 8 è legge e dice chiaramente che i contratti sono validi solo se approvati dalla maggioranza dei lavoratori. Uscire da Confindustria ha senso solo se si pensa che domani un sindacato non confederale, come ad esempio il Fismic, possa diventare maggioritario in fabbrica accettando di trattare materie, come il licenziamento senza giusta causa, che Cgil, Cisl e Uil nell’accordo del 21 settembre contestato da Marchionne, si sono impegnate a non toccare.
E’ assai dubbio che questo possa avvenire in tempi brevi. Perché i primi a opporsi alla crescita del Fismic (erede dell’ex sindacato giallo degli anni ’50) saranno proprio i sindacati come Cisl e Uil che pure hanno accettato gli accordi voluti da Marchionne. Il sogno della fabbrica defiommizzata si rivela dunque difficile da realizzare in poco tempo. Anche se qualche sperimentazione sembrerebbe essere già  in corso. Secondo i dati citati dalla stessa Fiom (e dunque di parte), sui 190 lavoratori che per ora sono stati assunti nella nuova fabbrica di Pomigliano per la produzione della Panda, nessuno è iscritto alla Cgil. Nella vecchia Pomigliano la Fiom aveva 600 iscritti, poco più del 10 per cento della forza lavoro. In teoria sui 190 nuovi assunti una ventina dovrebbero avere la tessera dei metalmeccanici della Cgil. E’ certamente possibile che l’anomalia sia frutto di una casualità  ma la circostanza comincia a preoccupare gli uomini di Landini. Anche perché senza iscritti nessun sindacato ha diritto di essere rappresentato in fabbrica.
Il secondo fronte che l’annuncio di ieri apre è quello dei rapporti tra Confindustria e le aziende dell’indotto auto. Che saranno spinte a uscire anche loro dall’associazione di viale dell’Astronomia e ad applicare l’accordo di Pomigliano come un contratto nazionale trasformandolo, di fatto, nel contratto nazionale dell’auto, depotenziando in modo significativo il ruolo di Federmeccanica. Ipotesi che naturalmente preoccupa via dell’Astronomia. Così ieri, a Marchionne che annunciava di voler comunque mantenere buoni rapporti con l’Unione industriale di Torino, Emma Marcegaglia ha risposto: «Bisogna vedere se questo è previsto dagli statuti». In sostanza o la Fiat sta dentro o sta fuori. E in Confindustria si aggiungeva che «prima di considerarci una burocrazia superata sarebbe utile che la Fiat pagasse le rate di iscrizione arretrate». Solo pettegolezzi o c’è qualcosa di vero nella storia della Fiat morosa?


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