Sicurezza sul lavoro La Ue mette in mora l’Italia
Tutto nasce dalla petizione di un operaio metalmeccanico di Firenze, Marco Bazzoni. A novembre del 2009, a titolo individuale e senza organizzazioni alle spalle, ha scritto alla Commissione europea, convinto che il decreto Sacconi appena approvato violasse alcune disposizioni dell’Ue. La Commissione ha dichiarato ricevibile la petizione a marzo del 2010. Poi i tecnici che si occupano di affari sociali e lavoro per mesi hanno passato al setaccio il Testo Unico, parlando anche con i funzionari del ministero del Welfare. A settembre di quest’anno, è stata decisa “la costituzione in mora” contro l’Italia <<
Per ritrovare la “salvamanager” bisogna fare le acrobazie da un articolo all’altro del nuovo Testo Unico. Il presupposto di partenza è che i datori di lavoro e i dirigenti possono delegare e subdelegare specifiche funzioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro (art. 18), mantenendo comunque l’obbligo di vigilare sul delegato. Obbligo che si considera pienamente assolto (art. 16 comma 3) in caso di adozione e ed efficace attuazione del modello di verifica e controllo. Eccolo il passaggio che ha insospettito la Commissione. A valutare se i dirigenti abbiano correttamente vigilato e siano da ritenere non penalmente responsabili in caso di incidente, a valutare cioè se il modello di verifica e controllo sull’operato dei delegati alla sicurezza sia stato efficace, non è un soggetto terzo come l’Ispettorato del Lavoro, e nemmeno un giudice in sede di accertamento penale, com’è stato fino a prima della riforma. E’ un organismo paritetico (art 51), costituito proprio da associazioni di datori di lavoro, quindi con un obiettività di giudizio quantomeno limitata. Una “salvamanager” più complicata e leggermente depotenziata rispetto a quella inserita nella bozza del decreto Sacconi, che aveva efficacia retroattiva applicandosi ai processi in corso, ma comunque considerata un escamotage dalla Commissione a vantaggio dei capi delle aziende. E non è l’unico profilo di irregolarità ravvisato nel Testo Unico.
La normativa italiana sarebbe in contrasto con la direttiva europea – si legge nella lettera di messa in mora – anche per l’obbligo di disporre di una valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute durante il lavoro per i datori che occupano fino a 10 dipendenti e per la proroga dei termini impartiti per la redazione del documento di valutazione dei rischi per le nuove imprese o per modifiche sostanziali apportate ad imprese esistenti. Il Testo Unico (art 28) concede infatti al datore di lavoro ben 90 giorni dall’inizio dell’attività per elaborare il documento sulla valutazione del rischio. Troppi, secondo la Commissione.
Le altre quattro contestazioni riguardano l’obbligo di valutazione del rischio di stress legato al lavoro, l’applicazione della normativa su sicurezza e salute per le cooperative sociali e le organizzazioni di volontariato della protezione civile, le disposizioni di prevenzione incendi per gli alberghi con oltre 15 posti letto, esistenti in data aprile 1994. Adesso il governo italiano ha due mesi di tempo per trasmettere alla Commissione le proprie osservazioni. Dopodiché, in caso di chiarimenti non sufficienti, avrà un po’ di tempo (si parla di altri due mesi) per modificare il Testo Unico ed evitare il ricorso per inadempimento alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con relative possibili e onerose sanzioni.
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