by Sergio Segio | 1 Ottobre 2011 7:05
NAPOLI – «Se dalle parole, dalle grida scomposte e grottesche della secessione si dovesse passare ad atti preparatori, lo Stato italiano non esiterebbe ad intervenire. E’ già successo, in passato, in Sicilia, dove il leader indipendentista Finocchiaro Aprile venne arrestato. Ecco, quando c’è stato un pericolo reale lo Stato lo ha fermato e scongiurato». Un avvertimento durissimo, senza precedenti, di Giorgio Napolitano alla Lega, alle minacce contro l’unità che riecheggiano da Venezia a Pontida, «grida – tuona il presidente della Repubblica – che si levano in quei prati dove non c’è il popolo padano ma un corpo elettorale di cittadini con scarsa consapevolezza di cose come l’articolo 1 della Costituzione». E cioè che «non ci può essere una via democratica alla secessione», che (e qui replica e bacchetta al capogruppo leghista Reguzzoni), «la sovranità popolare si esercita nelle forme e nei limiti stabiliti dalla nostra Carta costituzionale». E sono parole che sul piano politico sembrano segnare uno strappo secco nei rapporti fra il Colle e Bossi, segnalando un precipitare del quadro politico, tanto più che il presidente della Repubblica ha esplicitamente lanciato la richiesta di mettere mano alla legge elettorale e mandare in soffitta il Porcellum, nel giorno in cui vengono depositate le firme per il referendum: «Serve il cambiamento, serve un altro meccanismo elettorale che recuperi il rapporto di fiducia fra elettore ed eletto che esisteva ma che è stato rotto. E nessuno potrà sottrarsi a questa esigenza». Quale legge? Napolitano non ha nascosto la sua preferenza, raccontando della sua personale, quarantennale esperienza di parlamentare: meglio il Mattarellum. Per molti anni è stato eletto col proporzionale nella circoscrizione Napoli-Caserta: un bacino di oltre due milioni elettori. «Troppi, per cui alla fine rispondi a tutti e non rispondi a nessuno». Poi invece, quando arrivò il sistema uninominale, «nel mio collegio c’erano 100 mila elettori: indispensabile a quel punto rispondere più puntualmente agli elettori». Allora, «senza idealizzare» il sistema delle preferenze, il maggioritario «ha creato un vincolo forte fra eletto ed elettori, mentre oggi non contano più competenza e attività svolta in Parlamento ma solo aver buoni rapporti con chi ti ha nominato deputato».
Napolitano torna non senza emozione nella facoltà di Giurisprudenza dove si laureò, coglie al volo l’assist delle domande di studenti e professori universitari, e nella sua Napoli il capo dello Stato lancia il più forte stop del settennato alle pulsioni anti-italiane di Bossi. Citando – perché sia chiaro alla Lega di non avvicinarsi oltre al punto di non ritorno – quel precedente storico finito con le manette strette dallo Stato italiano ai polsi di Andrea Finocchiaro Aprile che nel 1944 guidava politicamente “l’esercito” dei separatisti dell’Evis. Lecito e anche giusto invocare il federalismo fiscale o il Senato delle regioni. Fuori dalla storia, ma anche dalle leggi, invece lavorare alla spaccatura del nostro paese. Napolitano perciò evoca quel precedente, quando lo «Stato italiano appena nato non esitò a intervenire e si arrivò alla detenzione del capo di quel movimento». Ma del resto, ironizza Napolitano, che vuol fare Bossi, «pensa ad uno stato lombardo-veneto che si mette a fare la concorrenza alla Cina, alla Russia, all’India? Grottesco». Un livello di grottesco tale, insiste il capo dello Stato, che dovrebbe bastare «a far capire che si può strillare in un prato ma non si può cambiare il corso della storia».
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