Se la questione morale è un obbligo per gli altri

by Sergio Segio | 10 Ottobre 2011 15:00

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«Ci sono troppi mascalzoni!», e naturalmente i mascalzoni sono sempre gli altri. Il miglior modo per accreditare a se stessi ogni virtù è quello di individuare nell’avversario il comportamento doloso e dargli addosso, poiché chi ti ascolta penserà  che non ti sbilanceresti tanto se fossi simile a lui. Le dichiarazioni corrono veloci nelle interviste,
nei talk, nelle tavole rotonde, dentro e fuori le Aule parlamentari e si consumano nell’istante in cui vengono trasmesse o pubblicate. Il giorno dopo i fatti smentiranno quelle parole, ma nessuno se le ricorderà  più perché intanto ne arrivano altre. Chi fa politica sa che non conta quello che fai, ma quello che dici e come lo dici. Ho rivisto in questi giorni un’intervista a Filippo Penati realizzata dal collega Bernardo Iovene a maggio scorso per Report, mai andata

in onda perché, come spesso accade, il materiale era parecchio e alla fine qualcosa deve restare nel cassetto.
Il contesto era l’acquisizione delle aree intorno a Milano per la grande esposizione internazionale del 2015. Un’occasione di rilancio per la città  e il Paese, che rischia di trasformarsi nella solita gigantesca speculazione edilizia. Un paio di anni fa, era stato nominato amministratore delegato di Expo 2015 Spa l’onorevole Lucio Stanca. Considerata l’onerosità  dell’impegno, il consiglio comunale gli aveva chiesto di dimettersi dalla carica di parlamentare, ma lui aveva preferito continuare a occupare entrambe le poltrone e incassare 2 stipendi (16.000 euro al mese da deputato del Pdl, più 300.000 euro l’anno da manager), finché, a primavera di quest’anno, non è stato costretto ad abbandonarne una, quella dell’Expo. Filippo Penati esprime su di lui un giudizio duro: «…Si è dimesso dopo un periodo in cui non ha fatto niente… Ci voleva qualcuno che stesse qui (a Milano, ndr) tutti i giorni, che avesse un impegno preciso». Ne stigmatizza l’avidità : «…Alla fine ha preso anche un compenso molto alto, secondo me indebito… Io non ne faccio una questione legale… Ne faccio una questione di moralità …». Penati richiama il politico alle responsabilità  del mandato, al sacro rispetto del denaro pubblico e del suo utilizzo nell’interesse della collettività . Penati è chiaro, parla con sincerità , passione e una vena di tristezza. Non puoi non credergli. Un mese dopo, l’indagine sulla riqualificazione della più vasta area dismessa d’Europa precipita Penati in bilico fra concussione e corruzione. Ad agosto si riapre anche l’inchiesta sui costi della Serravalle: milioni di euro di denaro pubblico che la «sua» Provincia non avrebbe speso nell’interesse generale. E allora quelle sacrosante critiche all’avversario politico, risentite oggi, suonano sinistre.

Ci penserà  il tribunale ad accertare i reati, ma senza attendere i tempi delle sentenze gli elementi per una condanna morale sono già  tutti lì: nella sua opaca gestione dell’operazione Falck e nei bilanci di una Provincia che ha usato il denaro dei contribuenti per continuare a indebitarsi ed elargire. Penati una volta vendeva polizze Unipol, ma si sapeva destreggiare nelle vischiosità  degli affari e della politica, fino a diventare l’uomo di fiducia di Bersani, che lo ha ritenuto meritevole di governare la provincia più importante del Paese. Oggi il suo volto è diventato quello di un partito che deve rifarsi la plastica. Proprio di questo si parlava qualche settimana fa in un talk televisivo: «Caso Penati e la questione morale». Il senatore del Pd Carofiglio, ospite, invita a non concentrarsi sulle questioni giudiziarie, che faranno il loro corso, ma a comprendere «quale» politico vogliamo, vedendo presumibilmente se stesso quale espressione di una classe politica sana, in grado di voltar pagina e sostituire quella corrotta, incapace, opportunista. Carofiglio, ex sostituto procuratore, dedica molto tempo alla scrittura e alla promozione dei suoi romanzi, un’attività  conciliabile con quella parlamentare che «richiede la mia presenza a Roma dal martedì al giovedì sera», mi ha confidato una volta. Sono talmente in tanti ad avere i piedi in due scarpe che essere al servizio del popolo e avere contemporaneamente altri impegni che appassionano (o rendono) di più, è diventato normale, addirittura «morale». Quanti orrori sono stati approvati perché gli onorevoli non hanno avuto il tempo di andare a leggere nelle pieghe degli emendamenti, o perché invece di essere in Aula stavano seguendo i processi dei loro clienti o semplicemente i fatti loro? Carofiglio è una persona onesta e capace, ma quale idea ha del mandato che i cittadini consegnano nelle mani del parlamentare? Sappiamo che è uno scrittore di successo, come secondo mestiere fa il senatore, e se le cose dovessero andar male può sempre tornare a fare il magistrato, perché essendosi messo in aspettativa, il suo posto non glielo occupa nessuno. Peccato che il suo carico di lavoro, al momento, se lo devono accollare i colleghi, e se non ce la faranno magari qualcuno non avrà  giustizia per intervenuta prescrizione. È questo il politico nuovo che vogliamo? Qualche giorno fa, sempre in un talk televisivo, Bersani ha citato, «centinaia di giovani e bravissimi amministratori locali». Siccome sappiamo che esistono, perché il partito non ce li fa conoscere? Perché non li manda avanti invece di tenerli confinati nell’ultima porta dell’ultimo corridoio a tenere in vita una macchina a cui sta fondendo il motore?

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