Sbadigli e riforme, lo show di Bossi

by Sergio Segio | 14 Ottobre 2011 6:34

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Quando poi Bossi fa per sbadigliare pure sull’«attenzione al territorio», come si chiama ora il federalismo, Berlusconi gli dà  una pacca sulle spalle, come ai bei tempi. Solo per un attimo un brivido attraversa l’Aula: quando il premier ricorda che, se non passa la fiducia al governo, si torna subito al voto; vale a dire, per buona metà  dei presenti, a casa. Per il resto, l’atmosfera è quella amara e inquieta degli ultimi giorni. E, come accade al tramonto, tutte le ombre sembrano di giganti.

Si spiegano solo così la fila che si ingrossa dietro a Scajola, corrucciato tipo statista nell’ora fatale, e il crocchio che si allarga ogni volta che Denis Verdini esce in cortile. Verdini è l’uomo chiave di questa giornata di voti incerti, in cui l’utilità  marginale dei peones cresce a dismisura, e ognuno cerca di portare a casa qualcosa finché è in tempo. Il coordinatore del Pdl rassicura, promette, blandisce, avverte. Il corteo che segue ogni volta Bossi si spiega anche con il folto numero dei pretoriani, e con l’imbarazzo dei cronisti che gli si incollano per coglierne le parole. Ma anche ieri il capo leghista si è aiutato con il linguaggio del corpo. E gli sbadigli sono stati più eloquenti del tradizionale dito medio.

Dell’opposizione nessuna traccia, in ogni senso. «Divisa, frantumata, ora anche scomparsa» ha sorriso Berlusconi, in uno dei rari passaggi efficaci del suo intervento. La mimesi dell’Aventino, già  messo in scena dai plebei e dagli antifascisti, francamente non è riuscita. Il Pd ha sciolto le righe, dei capi si è visto solo Fioroni. Bocchino invece non si è tenuto, è arrivato lo stesso, mentre parlava Berlusconi era alla buvette per il caffè, informale, senza cravatta, accanto alla Perina in giubbotto di renna.

Il premier, che non ama i riti parlamentari, era giù di morale. I suoi l’hanno capito e l’hanno salutato con un applauso in piedi. Di solito lui ringrazia con sorrisi dentati e saluti un po’ marziali; ieri si è quasi commosso. Poi si è cavato la spina, con l’aria di chi sostiene che non è successo nulla, appena un piccolo incidente «di cui mi assumo la responsabilità », e pazienza se il declino fisico e l’impaccio del corteo ha impedito a Bossi di votare. A sentire i peones, su di giri all’idea di essere tornati al centro della scena, come il 14 dicembre scorso, il voto di oggi potrebbe riservare qualche incognita. Ma sono le richieste e le insoddisfazioni dell’ultima ora; a quelle provvede Verdini, mentre Berlusconi marca di persona Scajola.

Il dibattito riesce surreale. L’on. D’Anna si qualifica come «esponente del mondo dell’impresa» e parte con una lunga e complessa citazione di sua mamma. Il leghista Desiderati interviene a sostegno della Singapore Airlines, che non riesce ad avere nuovi slot su Malpensa. L’unico discorso di livello è quello di Manuela Dal Lago, anche lei della Lega, che porta dati e richieste della piccola impresa: purtroppo Berlusconi è distratto dalla Brambilla che gli sussurra all’orecchio, e non ascolta. Scilipoti, un altro che nel giorno del «piccolo incidente» non c’era, tiene un’orazione breve ma intensa, molto applaudita dai banchi del governo. Qualche insoddisfatto fa notare perfido che il capo ha sbagliato la manutenzione della chioma, si intravedono strisce bianche sul solito caschetto color pece. Segue riunione dei deputati pdl, in cui si discute l’istituzione di un call center per telefonare agli incerti e indurli a votare ogni qualvolta sarà  necessario. L’on. Laboccetta, ormai fedelissimo di Berlusconi, ha contato scrupolosamente i colleghi entrati in Aula a discorso del premier iniziato: «Ventidue! Sono cose che non si fanno!».

Latita sino alla fine l’opposizione, tranne i finiani, che palesemente non hanno altro da fare e stazionano alla buvette. In Aula ci sono però cinque radicali, che ne approfittano per chiedere l’amnistia per ogni carcerato, molto congratulati dalla maggioranza. Stefania Craxi, sottosegretario agli Esteri, è tentata dal mollare tutto. Santo Versace l’ha già  fatto — «è stata decisiva la settimana della moda di Milano, non c’era un collega straniero che non mi chiedesse cosa ci faccio con Berlusconi» —, ma passa lo stesso in Aula a salutare; i peones gli stringono la mano con un sospiro, beato lui che un lavoro bene o male ce l’ha. Gli altri devono battere cassa, e sperare che Berlusconi e Verdini nottetempo accontentino tutti, o almeno un numero sufficiente a tirare avanti sino a Natale.

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