Roghi, saccheggi e scontri Guerriglia nel cuore di Roma

by Sergio Segio | 16 Ottobre 2011 6:32

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ROMA — La lotta al precariato e al lavoro nero, il diritto allo studio e alla casa, il no alla Nato e alla Bce. «Meno banche e più banchi, più piazza e meno affari». Erano questi gli slogan, alla partenza. E musica, tanta musica sui carri dei «Draghi ribelli». Più di duecentomila «Indignados» italiani, 750 pullman arrivati da Torino, Milano, Brescia, Bologna, Modena, Ancona, Napoli, Firenze. Ma poi, quasi subito, sono impazziti «gli insu…», così li chiamano nel movimento. Gli anarcoinsurrezionalisti quando entrano nei cortei hanno altre parole d’ordine: «Fuck Austerity», «Smash capitalism», «Eat the rich», «Eat the bankers». Colpisci il capitalismo, mangia il ricco, divora i banchieri. E con la vernice spray ieri all’inizio hanno stampato queste parole lungo tutta via Cavour e via Labicana.

Poi però le hanno messe anche in pratica. Avevano caschi e cappucci neri, per questo vengono a volte etichettati come «Black bloc». E bastoni, mazze, molotov, bombe carta. Nessuna «acampada» da parte loro, nessun pacifico accampamento come a Puerta del Sol. Solo «riot», solo la pratica violenta della sommossa: «Noi siamo violenti perché la società  è violenta e ci usa violenza ogni giorno», ci spiegava un anonimo manifestante di Torino.

E così lungo il percorso — a partire da via Cavour — a piccoli gruppi hanno sfondato prima le vetrine della Cassa di Risparmio di Rimini, assaltato l’ingresso di un’agenzia interinale, saccheggiato il supermercato Elite al grido di «Riprendiamoci la ricchezza per distribuirla», poi hanno incendiato due auto, di cui una parcheggiata in uno spazio riservato ai disabili. «Era l’auto di una donna disoccupata», aggiungeva un vicino infuriato.

Quindi, in un delirio di distruttiva onnipotenza, gli incappucciati hanno frantumato i finestrini di una Jaguar, una Mercedes, una Bmw, una Smart e invano i Cobas, quelli della Fiom, gli stessi centri sociali, hanno cercato fino all’ultimo di fermarli. Gli gridavano «Fuori, fuori», ma come risposta hanno ottenuto l’inferno.

Nessuna pietà  per nessuno. Nuvole di fumo nero e denso s’alzavano nel cielo di via Labicana dopo l’assalto a un ex deposito militare con annessa un’abitazione privata. Prima che crollasse il tetto della casa incendiata, un generale in pensione aiutato dai vicini riusciva a fuggire dalla finestra calandosi da una scala insieme alla moglie. Più avanti, all’angolo tra via Labicana e via Merulana, un gruppo di giovani incappucciati assaltava perfino la deliziosa chiesetta dedicata ai Santi Pietro e Marcellino. Non c’erano fedeli in quel momento, solo il parroco don Pino Ciucci e alcuni sacerdoti raccolti in preghiera. Divelta la porta della sala del catechismo, il Black bloc è entrato. Gli incappucciati hanno preso una statua della Madonna di Lourdes e un crocefisso, li hanno portati all’esterno e lì li hanno frantumati. Una cosa così non s’era mai vista. Della madonnina finita in mille pezzi, però, si è salvato il volto.

Dieci mesi dopo, le stesse scene del 14 dicembre, è cambiato solo il teatro degli scontri: da piazza del Popolo a piazza San Giovanni, perché era questa stavolta la meta del corteo. Stavolta però non c’era il Parlamento da conquistare o una Bastiglia da prendere. E la rabbia allora si è sfogata altrove. Il bilancio finale parla di più di 100 feriti tra manifestanti (almeno 70 di cui tre gravi), forze dell’ordine (30) e giornalisti (il fotografo del Corriere Carlo Lannutti è finito all’ospedale per la manganellata di un poliziotto durante una carica), mentre 20 sono stati i fermati (ragazzi di Bari, Trento, Catania, Siracusa, Brindisi, Varese e Napoli) di cui 12 in stato d’arresto. Bollettino di guerra. E anche la festa è stata rovinata. Sono saltati, infatti, il comizio finale e il concerto rock previsti alla vigilia.

Ma le azioni, di sicuro, erano premeditate: la Digos in via Cavour ha trovato un borsone nero. Dentro c’erano 10 bottiglie incendiarie piene di benzina e già  pronte per l’uso, complete di stoppino fissato col nastro isolante. E vicino piazza di Spagna una guardia giurata ha trovato in un angolo un’altra busta piena di spranghe e pietre, che attendevano solo di essere recuperate. Movimento magmatico, fluido, imprendibile, spalleggiato pure dagli ultrà  del calcio, ieri scesi in campo anche loro contro il nemico comune, «le guardie», coi cappucci, i bastoni e quell’acronimo («Acab») lasciato scritto sui muri con la vernice nera. «Acab» sta per «All cops are bastards», tutti gli sbirri sono bastardi.

Rispetto ai 200 mila «Indignados» in marcia, i violenti di Roma erano appena 2 mila. Non hanno montato le tende ma hanno usato i bastoni, le mazze, i pali di ferro, i segnali stradali, hanno tirato bombe carta e sanpietrini come proiettili, in piazza San Giovanni hanno bruciato un blindato dei carabinieri (ma i militari per fortuna si sono messi in salvo), divelto transenne e incendiato cassonetti per chiudere gli archi di San Giovanni e proteggersi la fuga, hanno alzato barricate anche in viale Manzoni all’Esquilino e sulla via Appia fino a piazza Re di Roma e piazza Tuscolo, dove infine si sono dispersi. C’è stata tensione all’ospedale San Camillo quando sono arrivate le ambulanze scortate dalle volanti della polizia. Gli agenti hanno chiesto ai dottori del pronto soccorso di identificare i feriti prima del ricovero, ma i medici hanno opposto ferma resistenza: «Il nostro primo dovere è prestare assistenza a queste persone», hanno spiegato loro. Ne è nata un’accesa discussione, al termine della quale i feriti però sono stati tutti ricoverati.

«Vai che il mondo ci guarda, il mondo è contentissimo», gridava correndo, alle sette di sera, un anonimo incappucciato davanti alla statua di San Francesco, mentre piazza San Giovanni, dopo cinque ore di scontri tra giovani e polizia, era ormai ridotta a un campo di battaglia. Un immenso tappeto di cocci, vetri, bandiere strappate, odori acri di fumo, luci blu dei blindati e candelotti esplosi di lacrimogeni. Il mondo è contentissimo? Mah, difficile crederlo.

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