Rapporto Caritas: in difficoltà  il 13,8% della popolazione

by Sergio Segio | 18 Ottobre 2011 7:43

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Nel 2009 la percentuale era al 13,1% e le persone povere quasi 400 mila di meno.In tempi di crisi economica, la povertà  sta cambiando volto: secondo i dati raccolti dalla Caritas, il 20% delle persone che si rivolgono ai Centri di ascolto in Italia ha meno di 35 anni. In soli cinque anni, dal 2005 al 2010, il numero di giovani è aumentato del 59,6% e, tra questi, il 76,1% non studia e non lavora, percentuale che nel 2005 era del 70%. La povertà  (il termine deve essere inteso come povertà  relativa, anche se tra gli oltre 8 milioni sono parecchi anche i poveri «assoluti») sta aumentando anche tra le famiglie che hanno come persona di riferimento (un tempo si sarebbe detto, capofamiglia) un lavoratore autonomo (dal 6,2% al 7,8%) o con un titolo di studio medio-alto (dal 4,8 al 5,6%). Tra queste ultime famiglie è aumentata anche la povertà  assoluta, passando dall’1,7 al 2,1 per cento.
Altro dato estremamente interessante riguarda la «nuova» povertà  degli stranieri: riguarda il 70% delle persone che si rivolgono ai Centri di Ascolto della Caritas. La povertà  si diffonde anche nei contesti di vecchia immigrazione, con particolare riguardo alla situazione delle famiglie che sono riuscite a riunificare il proprio nucleo: le nuove esigenze familiari (spese scolastiche, necessità  di abitazione più ampia, su tutte) suscitano nuovi disagi.
Eppure, secondo Caritas e Fondazione Zancan, le risorse per far fronte al fenomeno ci sono, ma sono male investite: una parte del Rapporto è dedicata all’analisi della spesa sociale e per la povertà  da parte dei Comuni italiani.
Il Rapporto 2011 dedica un’attenzione particolare al tema dei diritti negati. Perché parlando di povertà  non si deve ragionare solo in termini di deprivazione economica, ma si deve pensare alle altre conseguenze concrete. E la scelta del titolo del rapporto non è casuale. «Se i poveri avessero dei diritti – sostiene la Caritas – il primo sarebbe quello di poter sperare in una vita migliore, per sé e per i propri figli, e di sapere che l’uscita dalla povertà  è possibile». Invece – è l’amaro commento – «oggi esiste una coltura diffusa secondo la quale le azioni a favore dei poveri da parte dello stato sono una specie di benevolenza, una concessione, una cura di mantenimento per la povertà  di lungo periodo da cui è difficile uscire»

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