“Vigile attenzione”. Il Quirinale attende “atti istituzionali”

by Sergio Segio | 12 Ottobre 2011 6:32

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ROMA — È una coincidenza, ma è singolare che lui arrivi a Montecitorio proprio subito dopo il pesantissimo scivolone del governo sul rendiconto generale dello Stato, cioè sulla cornice legislativa sulla quale s’incardinano i provvedimenti economici. Un colpo enorme, per la maggioranza. «Una nuova tappa verso il disastro», dicono già  le opposizioni, che pretendono di chiudere la partita. E il presidente della Repubblica, giunto qui per un appuntamento politico-istituzionale tra i tanti cui è invitato (stavolta è un convegno su Gaetano Martino, uno dei padri italiani dell’Europa), può soppesare tutto da vicino. Verificando di persona l’alta tensione che percorre il Parlamento, prigioniero di un conflitto ormai balcanizzato.

Sono le 17.30 quando Giorgio Napolitano varca la soglia del palazzo e la conferma di una debacle dagli esiti imprevedibili per la coalizione di governo la ricava dal fatto che ad accoglierlo non trova il «padrone di casa», secondo quanto prevede il protocollo, ma il suo vice, Antonio Leone. Intorno, volti scuri e voci concitate, come nei momenti gravi. Finché non si fa vivo, scusandosi, Gianfranco Fini, che lo informa di quanto accaduto in Aula e dei contatti avviati con la conferenza dei capigruppo. Il faccia a faccia dura pochi minuti. Non certo il tempo per quello che di solito si definisce un vertice informale. Soltanto lo spazio di uno scambio di battute, al quale poi si associa nella sala della Lupa per qualche istante pure Silvio Berlusconi. Alla fine emerge un provvisorio scenario. Che ruota su un paio di variabili. Da un lato c’è chi sostiene che la bocciatura dell’articolo 1 è quasi soltanto una buccia di banana, «un incidente tecnico» recuperabile con rapide correzioni (e anzi, con un provvedimento tutto nuovo) dal Consiglio dei ministri e da sottoporre a voto di fiducia, e questa è la tesi minimalista del premier. Dall’altro lato il centrosinistra afferma invece che no, siccome quell’articolo ha un carattere ricognitivo, la sua caduta si trascina dietro pure il resto della legge e, costituendo l’ennesimo esempio dello sfascio della maggioranza, l’esecutivo deve prenderne atto e dimettersi.

Con tali questioni aperte, il capo dello Stato non può che restare alla finestra. In questa fase infatti, nonostante il pressing che è subito ricominciato (con il leader dell’Idv Antonio Di Pietro in testa tra quanti a giorni alterni insistono a chiedergli di «mandare a casa» il Cavaliere), può solo limitarsi a una «vigile attenzione», come precisano ultralaconici i suoi consiglieri. Aspettando, come si richiede a un potere neutro e che rispetta l’autonomia degli altri poteri, ciò che sarà  deliberato dagli organi parlamentari. Dai quali il Quirinale può essere chiamato in causa «unicamente se emergeranno atti istituzionali che investano la sua competenza». E quegli «atti istituzionali», si sa, potrebbero essere le dimissioni del governo o un voto di sfiducia delle Camere.

Chiaro che l’intreccio tra la sempre più precaria tenuta del governo e la tormentata gestione dei provvedimenti economici rappresenta un mix delicatissimo e pericolosissimo, che preoccupa molto Napolitano. Perché, se non si recupera un decente livello di coesione e di operatività , rischia di uscirne compromessa la legge di stabilità  e lo stesso iter della manovra finanziaria, il che sarebbe una sciagura in questa drammatica stagione di crisi.

Per trovare una via d’uscita (praticabile dal punto di vista di Berlusconi) alle diverse conseguenze dell’infortunio di ieri, sono già  al lavoro esperti di procedura parlamentare. Qualcuno, dall’altro fronte politico, evoca precedenti della prima Repubblica. Il più citato è il caso di Giovanni Goria, caduto in Aula il 13 aprile 1988 sulla legge di bilancio e che si dimise senza alcun indugio. Una resa che il premier non è affatto disposto ad accettare, neanche dopo l’ultima prova di sfaldamento della sua coalizione.

Qualcuno ipotizza che l’entourage del Cavaliere voglia coinvolgere il Quirinale in questa affannosa ricerca di soluzioni per puntellarsi, ma sembra difficile che trovi udienza. Il Presidente, del resto, ha spiegato più volte quali sono i requisiti per durare a Palazzo Chigi: avere la fiducia del Parlamento, com’è ovvio, e garantire però anche un’azione di governo operosa ed efficiente. E su questo secondo versante l’esecutivo entra in panne a intermittenze sempre più ravvicinate, come dimostrano i continui sbandamenti sulle scelte per l’economia e sulla nomina del successore di Mario Draghi alla Banca d’Italia.

Un contesto di sbandamento che concentra su Napolitano un grande carico di aspettative. Lo si vede anche dalla folla che lo attende all’entrata e all’uscita da Montecitorio. E che urla: «Ci aiuti lei, Presidente. Ci salvi lei. Sciolga le Camere».

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