Quei timori all’estero sulle nostre decisioni
BRUXELLES — «L’Italia rovina l’atmosfera dopo l’accordo nell’Unione Europea», sibila il Financial Times su tutta la prima pagina, dopo aver spiegato: «Cresce ancora il costo dell’indebitamento». E l’International Herald Tribune, riprendendo il New York Times, ancora più acre: «Un piano per il debito alla mercé di Berlusconi…».
Poco importa che di me parlino bene o male, importa solo che ne parlino: così diceva un vecchio adagio da gente di mondo. Ma qui c’è qualcosa di diverso. Qui c’è, all’interno del più generale «caso Europa», un ben preciso e unico «caso Italia»: la percezione che si ha di lei (di noi) all’estero, soprattutto dopo l’impennata negli interessi offerti all’ultima asta dei nostri titoli di Stato, peggiora sempre; fino a prendere ormai il colore di certi risotti alla seppia, fra il violaceo e il nero. Giusto o no che sia. Perché quell’asta dei Btp, infierisce il Financial Times, con quegli interessi mai così alti dai giorni dell’introduzione dell’euro, è «un segno preoccupante del fallimento nel tentativo di riguadagnare la fiducia dei mercati». Una visione che accomuna i giornali anglosassoni, mai teneri verso il Bel Paese, e gli osservatori che seguono le cose europee dal cuore stesso della Ue.
«Berlusconi ha detto ieri che l’euro non ha convinto nessuno…» «Ah sì? Congratulazioni, davvero!»: Jean-Pisani Ferry, economista a Parigi e direttore a Bruxelles del centro di ricerca «Bruegel», si trova ora in India per un congresso, e dunque «non posso commentare dichiarazioni o articoli che non ho letto»; ma quelle parole sull’euro, rimbalzate da Roma, non lo lasciano indifferente neppure laggiù: «Ma sì, congratulazioni! Chissà , forse si vuole rafforzare l’idea che tutto sia frutto di un complotto?…».
Però difficilmente risalgono a un complotto quegli interessi offerti da Roma sui Btp, e gli «spread», i divari di rendimento fra gli stessi titoli decennali e i loro omologhi tedeschi: sono cifre reali, e controllabili. Proprio dopo la firma dell’accordo al vertice di Bruxelles, del quale la lettera italiana sulle riforme era stata un perno, gli interessi offerti sui Btp hanno superato la soglia simbolica del 6 per cento, equivalente a un allarme per il resto d’Europa. Anche perché nell’ultimo mese gli altri Paesi a rischio, quelli con spread più alti dell’Italia, hanno imboccato la strada opposta: gli interessi sui loro titoli sono calati, e lo spread si è ridotto. A fine settembre, lo spread del Portogallo era al 10,2%: e oggi è al 9,5%; Irlanda: dal 6,7% giù fino al 6%; Spagna: spread quasi invariato, ma già aveva recuperato circa 130 punti base rispetto all’Italia, durante l’estate. E l’Italia, appunto? Il 26 settembre lo spread fra Roma e Berlino era del 3,81% e il 28 ottobre era del 3,79%: quasi immutato. Questo, 48 ore dopo l’accoglimento della lettera italiana al vertice di Bruxelles. E questo, insinua ora la stampa anglosassone, può essere anche il frutto di certe relazioni personali fra i leader europei: magari non influiscono direttamente sui rendimenti dei titoli, ma sulla percezione di un Paese, sì. Così l’International Herald Tribune dedica la prima pagina a Mario Draghi («Un banchiere pratico, con maestria politica») e qualche pagina più in là racconta perfidamente le ore del vertice Ue: «Con il termine per le misure italiane che si avvicinava, Sarkozy e Merkel hanno bastonato perbene Berlusconi. Potete immaginare il gelo nella stanza dopo che il signor Berlusconi era stato sorpreso in un’intercettazione telefonica di poche settimane prima mentre descriveva le sembianze fisiche della signora Merkel in termini così volgari che neppure la maggior parte dei tabloid li aveva ripresi…».
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