“Tutti contro Amanda perché è americana ma le prove per condannarla non bastavano”

by Sergio Segio | 6 Ottobre 2011 7:16

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PERUGIA – «I fischi della folla dopo la sentenza non mi hanno sorpreso. È stata una reazione autolesionista di di pochi scalmanati finiti in mondovisione. Quanto accaduto fuori dal tribunale, nonostante le mie esortazioni, è lo specchio di come è l’Italia in questo momento. C’è un clima di contestazione rivolta alla cosiddetta casta politica ma anche alle istituzioni in genere. Dopo i dibattiti in tv si è formato il convincimento che tutti possano dire la loro sui processi come sulle partite. Eravamo un popolo di allenatori, ora stiamo diventando tutti giudici», spiega Claudio Pratillo Hellmann, presidente della Corte di Appello che ha assolto Amanda e Raffaele.
Come spiega questa ostilità  nei confronti di Amanda Knox?
«Ho sentito tirare in ballo la vicenda del Cermis e quella di Calipari. Storie diverse che dovevano sottostare ai trattati tra Italia e Usa. Credo che dato che Amanda è americana ci sia stata una trasposizione. Lei però è una cittadina qualunque e non poteva pagare per altro».
I pubblici ministeri l’hanno accusata di avere un atteggiamento di diffidenza per la sentenza di primo grado. Cosa non la convinceva di quel giudizio?
«Non capisco la reazione dei pm. Al loro posto con gli elementi che avevano anch’io avrei chiesto un rinvio a giudizio. Il giudice ha però il dovere di formarsi un libero convincimento. La sentenza del primo grado a mio parere era illogica e lacunosa. Per i giudici della Corte d’Assise le prove erano sufficienti per la condanna, per noi no».
È vero che lei che il giudice a latere Massimo Zanetti siete stati criticati perché provenite dal tribunale civile?
«All’apertura dell’anno giudiziario qualcuno ha detto che troppi giudici del civile erano applicati al penale. Il riferimento mi è parso chiaro anche se sia io che Zanetti nella carriera abbiamo fatto molto penale. Ma a Perugia però non c’era un altro collegio disponibile. Confesso che ho sperato di evitare il processo. Quando mi è stato affidato però ho cercato di condurlo con il massimo equilibrio».
Le udienze sono state però molto tese. Qual è stato il momento più difficile?
«Sicuramente dopo il deposito dei risultati della perizia. Credo che i pm e le parti civili abbiano capito che le loro tesi correvano dei rischi. Da quel momento il processo ha cambiato passo diventando una battaglia senza esclusioni di colpi. Ricordo l’interrogatorio in aula degli esperti che avevamo scelto. Sono stati attaccati così duramente che ho dovuto ricordare che si trattava dei periti della Corte e non di imputati».
L’assoluzione di Amanda e Raffaele lascia in carcere un solo colpevole, Rudy Guede. È lui l’unico a sapere la verità  sulla morte di Meredith Kercher?
«Non posso dire che Rudy sia l’unico a sapere che cosa è successo quella notte in via della Pergola. Di certo lo sa e non lo ha mai detto. Forse lo sanno anche i due imputati perché la nostra pronuncia di assoluzione è il risultato della verità  che si è creata nel processo. La verità  reale resterà  insoluta e potrebbe essere anche diversa. Loro potrebbero essere anche responsabili del delitto ma non ci sono le prove».
Lei ha presieduto il processo più mediatico della storia giudiziaria italiana. Ha risentito dell’influenza dei media?
«No, io e gli altri componenti della Corte abbiamo deciso in piena coscienza nella tranquillità  della camera di consiglio».

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