by Sergio Segio | 12 Ottobre 2011 7:16
ROMA – Una riforma costruita sull’acqua, senza risorse e che penalizza i redditi più bassi. L’operazione annunciata dal governo, e formalizzata nel disegno di legge delega fiscale presentato in luglio e in discussione alla Camera, rischia di essere un flop. La Corte dei Conti che ieri, attraverso il presidente Giampaolino è stata chiamata ad esprimersi, la boccia senza mezzi termini. Il «no» arriva nel giorno in cui rischia di crearsi un vero e proprio «ingorgo» nei provvedimenti di finanza pubblica all’esame del Parlamento: lo scivolone del governo sul Rendiconto generale dello Stato, secondo il Pd, mette a rischio il varo della legge di Stabilità (la ex Finanziaria) previsto per legge entro il 15 ottobre e atteso per il consiglio dei ministri di domani. Tutto ciò mentre la nota di aggiornamento al Def aspetta ancora il via libera delle Camere e il governo studia una exit strategy mirataa ripresentare il provvedimento con annessa fiducia. A complicare la situazione l’atteso decreto sviluppo (forse rinviato al 20) doveè in corso un braccio di ferro per la distribuzione delle uniche risorse disponibili: i 4 miliardi incassati con l’asta delle frequenze anche se non si ferma la caccia ad eventuali nuovi fondi. Difficilmente sarà il condono che ieri ha subito la bocciatura anche della commissione Ue secondo la misura «rischia di distogliere l’attenzione dalle più urgenti priorità e di minare la credibilità della lotta all’evasione» Tornando al ddl fiscale passato al setaccio dalla Corte, contiene obiettivi ambiziosi: riduzione delle aliquote da cinque a tre ed eliminazione dell’Irap. Ma gli esiti dell’iniziativa sono, con le parole della Corte, «incerti» perché le risorse destinate alla riduzione delle tasse hanno subito la «concorrenza» della doppia manovra d’estate e si sono prosciugate.
Tra le voci di copertura «rubate» dalla manovra al taglio delle tasse: l’aumento dell’Iva e l’intervento sulle rendite finanziarie, misure espressamente destinate al finanziamento del ddl fiscale che valgono 6 miliardi all’anno, sono state inglobate nel calderone dei decreti da 59 miliardi.
Ma è soprattutto la partita del taglio delle agevolazioni fiscali, che vale 20 miliardi, a rappresentare il vero e proprio buco nero della riforma fiscale. Nel Def dell’aprile scorso il taglio delle agevolazioni era stato destinato a riduzione di tasse. Ma ad agosto è entrato a pieno titolo nella manovra: è stato «prenotato», come dice la Corte, per la riduzione del deficit. Esclusa la strada del taglio delle imposte, restano dunque due alternative. Entrambe, dice la Corte, rischiose per i redditi bassi e il lavoro dipendente. I 20 miliardi dovrebbero essere recuperati da un taglio al Welfare dei più disagiati (pensioni di invalidità , reversibilità ecc). Oppure si interverrà sulle agevolazioni fiscali: una manovra «regressiva» che agirebbe sulle detrazioni per il lavoro dipendente e sui carichi familiari che peserà sui deboli: l’aumento del prelievo Irpef sarebbe circa del 20%, ma colpirebbe per 2,5 punti un reddito di 12 mila euro e di soli 3 decimi di punto un reddito sopra i 200 mila euro.
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