by Sergio Segio | 9 Ottobre 2011 6:59
Blocco dei salari, tagli alle assunzioni e – a leggere la lettera che la Banca centrale europea ha inviato a Palazzo Chigi – un futuro che pare tutto in salita. E così, i lavoratori pubblici della Cgil ieri sono scesi di nuovo in piazza a contro le misure del governo.
Dagli insegnanti agli infermieri, dai vigili del fuoco ai dipendenti ministeriali tutti sono convinti che questo esecutivo – che fin dall’inizio ha puntato a «sminuire il ruolo del pubblico» – «se ne deve andare ora», come ha detto dal palco la leader del sindacato Susanna Camusso «perché ogni giorno che passa abbiamo un problema in più: non ci rassegniamo a veder espropriato il nostro Paese».
Manifestazione a Roma, Piazza del Popolo piena di lavoratori e studenti, ancora una volta la Cgil da sola (anche se proprio la battaglia sul settore pubblico potrebbe essere il territorio della «riconciliazione» con Cisl e Uil).
La protesta è nata dai tagli subiti dalle categorie con le due manovre: pur se uno studio della Banca d’Italia assicura che il lavoratore pubblico, in media, è più pagato del dipendente privato, si calcola che un professore della scuola media con vent’anni di servizio possa perdere, per via del blocco dei prossimi quattro anni fino a 9 mila euro in potere d’acquisto. Ma ancor più si teme «l’obiettivo annunciato dal governo e dalla Funzione Pubblica di tagliare oltre 300 mila posti tra il 2008 e il 2013» riducendo all’osso la macchina dello Stato, la scuola, la sanità e quindi il welfare.
Timori che hanno acquisito forza da quando è stata resa pubblica la lettera che la Bce ha inviato al governo, suggerendogli di «valutare una riduzione significativa dei costi del pubblico impiego e riducendo se necessario gli stipendi». Quel testo, ha detto la Camusso «è stato un tremendo schiaffo, il commissariamento del Paese». Richiede «uno scatto d’orgoglio: tagliare lo Stato non è l’unica ricetta possibile», va cancellata l’idea che «il pubblico, quindi la scuola, la ricerca, la sanità , la giustizia, la sicurezza» siano, prima di tutto, «un costo».
C’è un’altra strada che si può percorrere senza dissanguare il paese, indica la Cgil «ed è il patto della cittadinanza: chi più ha più paghi» e soprattutto «paghi chi non ha mai pagato». Quindi un no deciso al condono, «parola che non è nel nostro vocabolario» ha detto Susanna Camusso. Sì invece alla patrimoniale e alla lotta all’evasione fiscale, misure necessarie a finanziare «un piano straordinario per i giovani».
Rifondare il Paese «è possibile», ma secondo il sindacato, non con l’esecutivo Berlusconi. «C’è un Paese che non recupera credibilità se questo governo non se ne va» ha detto chiaro e tondo la Camusso. «Non ci rassegniamo a veder affondare il Paese, non ci rassegniamo a vederlo espropriato da chi pensa che mantenere il potere sia il suo elisir di lunga vita. Non ci rassegniamo alle leggi bavaglio, al fatto che possa passare l’idea che per governare il Paese serva chi ha governato un’azienda perché hanno dimostrato di non saper dirigere le aziende così come non sanno dirigere il Paese». E «non ci rassegniamo al fatto che viene continuamente offesa la dignità delle donne» ha voluto precisare la leader della Cgil. In piazza c’era qualche cartello che ironizza sul «bunga-bunga» e sul partito della «gnocca». Lei dal palco ha assicurato: «C’è anche un altro linguaggio e un altro modo d’essere, noi non siamo come il premier».
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