by Sergio Segio | 8 Ottobre 2011 6:34
MILANO – Un centro d’ascolto occulto, capace di intercettare le conversazioni di tutti i dipendenti. In grado, potenzialmente, di carpire chiacchiere private, ma anche orientamenti politici, magari giudizi sulle scelte aziendali.
È il piano che Coop Lombardia avrebbe studiato nel 2004, messo in pratica sperimentalmente nel 2007, archiviato definitivamente solo nel 2010. Bastava un piccolo apparecchio elettronico, e le telefonate «in ingresso e in uscita» venivano magicamente registrate. L’idea iniziale era quella di «intervenire su una cinquantina di centraline di punti vendita Coop». Un «progetto pilota», che l’ex responsabile della sicurezza del colosso cooperativo della distribuzione, Massimo Carnevali, aveva studiato nei dettagli. Per capirlo meglio, si possono usare le parole dell’investigatore incaricato di predisporre materialmente i macchinari: «Il back up consisteva nell’interporre un’apparecchiatura sulla linea telefonica atta alla registrazione delle telefonate in ingresso e in uscita». Un controllo consentito dalla legge? «Questa procedura – ha raccontato al pm milanese Francesca Celle, lo scorso 13 ottobre, Alberto Rancarani – è legale solo se viene preavvisato l’utente con un messaggio registrato». Ma il progetto di Carnevali non lo prevedeva.
Nel 2010, il quotidiano Libero ha svelato il contenuto di una serie di intercettazioni illegali effettuate sul telefono del direttore della filiale della Coop di Vigevano. Coop, acquistando una pagina di pubblicità sui principali quotidiani, dopo l’articolo ha preso le distanze dall’operato di Carnevali. Ora, con la chiusura dell’indagine, si scopre però che l’ex addetto alla sicurezza (dopo lo scandalo è stato licenziato), non era il solo in azienda a sapere che alcuni dipendenti venivano intercettati. Almeno questo hanno detto a verbale due investigatori coinvolti nel progetto. Rancarani e un suo collaboratore, infatti, hanno giurato di essersi incontrati nel dicembre del 2007, negli uffici centrali della Coop milanese, «perché c’era da fare un lavoro di pulizia audio delle telefonate (irregolarmente intercettate, ndr), perché avevano problemi di comprensione». L’investigatore aggiunge come in quell’occasione «Carnevali mi presentò il dottor Ferrè, che presumo essere il suo superiore, e mi diedero questo cd. Il Ferrè mi raccomandò riservatezza». Quale sia la qualifica esatta del manager Coop, non viene specificato. Il pm, nel porre una domanda, rivela trattarsi di Daniele Ferrè, componente del direttivo di Coop Lombardia. E lo stesso nome viene fatto dal collaboratore di Rancarani, ricordando l’incontro avvenuto nel 2007 negli uffici della direzione di via Famagosta. Secondo il racconto dell’investigatore, fino al 2010 Rancarani avrebbe ricevuto regolari pagamenti per i lavori effettuati. Da quell’anno, improvvisamente, Coop si sarebbe rifiutata di saldare il costo della centrale di intercettazione illegale. Non proprio briciole, ma una fattura da 350 mila euro.
Il pm milanese Celle ha ufficialmente chiuso l’inchiesta per la pubblicazione su Libero delle intercettazioni carpite illegittimamente del direttore di Vigevano. A un cronista e al direttore Maurizio Belpietro viene contestata anche la pubblicazione «di conversazioni telefoniche registrate fuori dai casi previsti dalla legge». A Carnevali e Rancarani, invece, l’intercettazione abusiva di conversazioni private.
Source URL: https://www.dirittiglobali.it/2011/10/qla-coop-spiava-le-telefonate-dei-dipendentiq/
Copyright ©2024 Diritti Globali unless otherwise noted.