“Io, malato di tumore lasciato senza farmaci vi racconto il mio calvario”

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PALERMO – Ha letto su “Repubblica” le intercettazioni dell’inchiesta sulle cliniche private e ha scoperto di essere stato truffato anche lui. «Sono io il paziente che protestava con un medico della casa di cura Latteri, per alcuni inspiegabili malesseri che mi assalivano dopo la chemioterapia», racconta. «Per fortuna, i carabinieri stavano intercettando tutto quanto avveniva in quella clinica. E ora so il perché del mio calvario. Non mi veniva somministrato il disintossicante, il Tad. Così cercavano di risparmiare». A parlare è Salvatore D., 65 anni, un professionista molto noto in Sicilia: «Mi costituirò parte civile contro la clinica», annuncia. «Rivolgo un appello a tutti gli ammalati di tumore e ai loro familiari, perché prendano maggiore consapevolezza dei propri diritti. Certe cose non devono più accadere».
I carabinieri del Nas tenevano sotto controllo una dottoressa che si occupava dei protocolli della chemioterapia alla Latteri. Il 14 settembre 2009, lei la chiama e dice: «Sono rosso in viso, come se avessi delle vampate». Poi, protesta: «La Tad non l’hanno fatta». Come ricorda quei momenti?
«Furono quaranta giorni di calvario. Era il mio quinto ciclo di chemioterapia, per fronteggiare un tumore al colon. Il rossore fu il problema minore. All’improvviso, cambiò il timbro della voce, parlavo come paperino. Poi, cominciai ad avere problemi di deambulazione, e anche allo stomaco. Infine, una mezza ischemia. Ma la dottoressa continuava a dirmi che erano tutte mie sensazioni».
Dalle indagini è emerso che il Tad non le fu somministrato in quattro sedute su sei. Lo sapeva?
«Mi ero reso conto che c’era qualcosa che non andava. In clinica, vedevo solo un medico di 75 anni, ormai in pensione, che si occupava di tutta la gestione dei malati di tumore. Sarà  stato anche un professionista capace, ma non riusciva a far fronte a tutti i pazienti. Un giorno gli dissi: “Ma chi glielo fa fare? Si rende conto che potrebbero chiamarla a rispondere di tutto?”. Provai a cercare qualche altro punto di riferimento. La dottoressa Maria Teresa Latteri, responsabile della clinica, non l’ho mai vista».
Nella telefonata intercettata, lei parla con una dottoressa che doveva essere in servizio solo al Policlinico. In realtà , lavorava anche alla Latteri.
«Il mio primo approccio con un reparto di oncologia è stato proprio al Policlinico di Palermo, ma mi fu detto che in quella struttura c’erano tempi lunghi per la chemioterapia. Mi fu consigliata la Latteri».
Quando decise di andare via?
«Quando la mia via crucis sembrava arrivata a un punto drammatico ho preso un biglietto per Aviano. E oggi siamo qui a parlarne. Ma sulla sanità  bisognerebbe aprire un grande dibattito nazionale».
Intanto, la sede siciliana dell’Associazione italiana ospedalità  privata dichiara in una nota di seguire «con scrupolosa attenzione l’evoluzione delle indagini», anche «ai fini dell’adozione, laddove responsabilità  dovessero essere accertate, di provvedimenti disciplinari». L’Aiop auspica che l’inchiesta sulle tre cliniche palermitane, per una presunta truffa sui rimborsi della Regione, «possa concludersi in tempi ragionevoli, per evitare – dice l’associazione – che la vicenda possa compromettere la credibilità  di un comparto che garantisce servizi di elevata qualità ».
L’inchiesta è in realtà  già  chiusa, il pm Amelia Luise dovrebbe firmare a breve la richiesta di rinvio a giudizio per i vertici della Latteri e di altre due cliniche. «Senza le intercettazioni non saremmo mai riusciti a scoprire tanti episodi di malaffare nella sanità  e nella pubblica amministrazione», dice il procuratore aggiunto di Palermo Leonardo Agueci. «E poi, grazie alla pubblicazione di certe intercettazioni, nei modi e nei tempi previsti dalla legge, si può anche aprire un dibattito nell’opione pubblica e nella politica, per migliorare la sanità ». Ecco perché anche Agueci ha più di un dubbio sul progetto di modifica delle intercettazioni: «Cambiare il sistema vigente, che è molto equilibrato – dice – potrebbe comportare un grave danno alle indagini».


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