by Sergio Segio | 8 Ottobre 2011 6:29
TORINO – Non è vero che Confindustria non ha lavorato per modernizzare le relazioni sindacali e non c’è alcuna oggettiva convenienza a rimanerne fuori. Emma Marcegaglia scrive una lettera ai presidenti regionali dell’associazione degli imprenditori per sostenere le sue ragioni «dopo l’annuncio che Fiat intende lasciare Confindustria a partire dal 1 gennaio 2012». Una scelta che suscita «disappunto» perché, spiega Marcegaglia «non c’è alcun contrasto» tra l’accordo interconfederale sottoscritto con i sindacati il 28 giugno e l’articolo 8 della manovra del governo «come ha detto lo stesso ministro Sacconi». Naturalmente, ed è la stoccata di Marcegaglia a Marchionne «per poter utilizzare questi strumenti occorre trovare il consenso sindacale». Poi la difesa sull’altro fronte, quello del centrodestra che accusa Confindustria di fare politica antigovernativa: «Confindustria è la voce libera e autonoma degli imprenditori».
La mossa di Marcegaglia ha fatto pensare al tentativo di arginare una presunta emorragia di iscritti dopo l’annuncio di Fiat. In viale dell’Astronomia negano con decisione. Giurano anzi che le lettere di disdetta finora recapitate sono solo due. E che si tratta di casi particolari: Giorgio Jannone del gruppo Pigna è un parlamentare del Pdl e dunque la sua defezione farebbe parte della macchina del fango montata dal Cavaliere contro Emma Marcegaglia per punirla degli attacchi al governo.
La seconda defezione, quella dell’industriale salernitano Agostino Gallozzi sarebbe invece una trovata per trasformare in caso politico nazionale una banale rissa locale tra soci finita di fronte al collegio dei probiviri. In ogni caso, a smentire i tentativi del centrodestra di rappresentare Emma Marcegaglia come una pericolosa alleata dei comunisti della Cgil, è il fatto stesso che al momento Mediaset non ha annunciato disdette dell’iscrizione e, anzi, Fedele Confalonieri siede nella giunta dell’associazione degli imprenditori. Così, nonostante gli annunci della destra su imminenti emorragie, l’unica fuoriuscita davvero di peso continua ad essere quella di Sergio Marchionne. Ed è evidente che a Torino i motivi del contrasto non riguardano certo la linea di viale dell’Astronomia nei confronti del governo. Questo sembra anzi il terreno su cui Marchionne e Marcegaglia sembrano meno distanti. Quando l’ad chiede «serietà e coerenza nell’affrontare i veri problemi dell’Italia», difficilmente pensa al partito della gnocca. Piuttosto il vero effetto della mossa di Torino sul libro soci di Confindustria si vedrà tra un anno quando la produzione Fiat riprenderà gradualmente (crisi permettendo) e i ritmi potrebbero richiedere il ricorso massiccio agli straordinari: «In quel caso – diceva nei giorni scorsi un imprenditore della fornitura – potrebbe diventare necessario uscire da Confindustria per avere contratti più flessibili. Ma oggi il problema è inverso: dobbiamo trovare le commesse». Tra un anno, quando si spera che la filiera dell’auto possa cominciare a lavorare, al vertice potrebbe arrivare Alberto Bombassei, l’uomo che più di altri ha tentato la mediazione tra Marcegaglia e Marchionne, anche se ieri nella corsa si è aggiunto Andrea Riello, candidato dall’esecutivo di Confindustria del Veneto.
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