“Fiat non rispetta le regole, come nell’800”
ROMA – «Una ricetta ottocentesca da parte dei famosi nuovi innovatori» delle relazioni sindacali; un piano industriale «che sembra sempre più una chimera». Susanna Camusso, segretario generale della Cgil, boccia così la ricetta-Marchionne ribadita con la decisione clamorosa della Fiat di abbandonare la Confindustria. «È la scelta – ha aggiunto il leader sindacale – di non rispettare le regole e le norme di questo Paese».
Una scelta ormai diventata politica, forse al di là delle intenzioni del gruppo automobilistico italo-americano, il cui titolo ieri è andato giù in Borsa di oltre il 7% anche a causa del crollo dell’11% delle immatricolazioni in Brasile. Questione politica, dunque, tanto che l’imprenditore e parlamentare del Pdl, Giorgio Jannone ha annunciato l’uscita dalla Confindustria anche della sua azienda, la storica Cartiere Pigna. Perché? «Confindustria – ha spiegato Jannone, che è presidente della Commissione di controllo sugli enti previdenziali – deve rappresentare tutti gli iscritti, senza assumere posizioni marcatamente politiche, e senza porre ultimatum al governo, senza avallare candidati politici o annunci a pagamento». Ragionamento fin troppo chiaro, ma sospetto. Almeno per il presidente della Piccola impresa di Confindustria Vincenzo Boccia: «Jannone è parlamentare di maggioranza e presiede la Commissione sugli enti previdenziali, il che la dice lunga…». Allusione ai legami con il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, considerato dalla Confindustria uno dei possibili ispiratori della mossa del Lingotto. Anche se ieri il ministro si è mostrato preoccupato: «È un segnale di disgregazione ci auguriamo si possa ricomporre questa frattura nel segno di una funzione sindacale modernizzatrice del sistema delle imprese». «Lacrime di coccodrillo», ha tagliato corto l’ex ministro del Lavoro, Cesare Damiano (Pd).
Semplificando, il giorno dopo l’ufficializzazione dello strappo, il governo e la maggioranza si sono schierati a sostegno di Sergio Marchionne (emblematica la dichiarazione del ministro della Pubblica amministrazione, Renato Brunetta: «Io sto con Marchionne, sto con una grande multinazionale che è la Fiat, io sto con un’azienda che si misura con i grandi mercati internazionali, io sto con l’Europa»), e l’opposizione in buona parte a difesa di un modello che abbia una riconosciuta rappresentanza sociale e non si trasformi nella balcanizzazione della rappresentanza. Più o meno a fianco della Confindustria, insomma. Così, nella rincorsa confusa di prese di posizioni, ieri, c’è stata anche quella assai singolare di due parlamentari leghisti, Paolo Franco e Maurizio Fugatti: se, come dice Marchionne, la Confindustria fa politica, allora «ci aspettiamo che il ministero dell’Economia chieda alle aziende di Stato di prendere atto di questa situazione e uscire dalla confederazione». Dichiarazioni strumentali e paradossali, perché un tempo la Lega Nord e la destra italiana consideravano la Fiat una sorta di avversario culturale ma anche politico. Criticavano il salotto buono, esaltando il mondo delle piccole imprese. Ora stanno con la multinazionale un po’ italiana e un po’ americana contro la Confindustria nella quale oltre il 90 per cento comunque sono aziende piccole se non piccolissime.
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