by Sergio Segio | 15 Ottobre 2011 6:40
PARIGI – «Indignarsi è giusto, anzi: necessario». A 87 anni, Danielle Mitterrand non ha perso il gusto per le posizioni radicali, come quando all’Eliseo rompeva il protocollo ufficiale criticando apertamente le dittature e allora il marito la chiamava “il mio contro-potere”. Attraverso la sua associazione France Libertés, che festeggia venticinque anni, l’ex première dame ha combattuto l’Apartheid, ha invitato in Francia il Dalai Lama, è andata al fianco dei curdi o del popolo saharawi. Oggi è idealmente con i ragazzi da Wall Street a Roma. «Dobbiamo combattere la tirannia economica» spiega nella sua casa di rue de Bièvre. «A me resta poco tempo, ma è quello che devono fare questi giovani».
Signora Mitterrand, indignarsi sembra ormai una parola svuotata. Cosa significa?
«Solo chiedere un mondo più giusto. Con la nostra associazione cerchiamo di promuovere un pensiero di vera rottura con il capitalismo. Dobbiamo riorganizzare la società mettendo al centro di tutto una sola cosa: il rispetto della vita. È questa la nostra più grande ricchezza. France Libertés lo ha fatto di recente con la campagna sull’acqua, un bene universale che è diventato una fonte di profitto».
La contestazione e il malcontento sono l’unico denominatore comune?
«Per gli indignati occidentali, vale lo stesso ragionamento che per i ragazzi delle rivoluzioni arabe. Bisogna capire se questi rivoltosi cercano di prendere il potere, arrogandosi i privilegi dell’attuale casta. Oppure se vogliono abbandonare l’attuale pensiero dominante».
“Soldi alla scuole, non alle banche”: è uno slogan che condivide?
«Ricapitalizzare le banche per risolvere questa crisi è come curare con delle caramelle un bambino che ha appena avuto un’indigestione di marmellata. Questo sistema economico, basato sullo sfruttamento intensivo delle risorse, sull’iper-consumismo, è arrivato alla fine della sua parabola. Ci salveremo solo se dalla società del profitto saremo capaci di passare alla società della condivisione».
Ma questi ragazzi sono cresciuti nel consumismo, hanno l’automobile e la carta di credito.
«Per cambiare il mondo, dovranno prima di tutto cambiare se stessi. La mia generazione ha cresciuto i figli incitandoli alla competizione, a essere i primi della classe, a diventare più ricchi dei padri. È un modello che ha fallito, non funziona più. A questi ragazzi dico: abbiate coerenza tra parole e gesti».
Pensa che qualcuno li prenderà sul serio?
«Sta già accadendo. Quindici anni fa, quando insieme ad altri abbiamo incominciato a parlare dei limiti del liberismo, denunciando molti degli attuali crimini economici, nessuno voleva ascoltarci. Ora la crisi ha messo le nostre idee al centro del dibattito».
Sono sempre considerate idee troppo radicali.
«Abbiamo più libertà di parola perché non abbiamo responsabilità di decidere. Ma gli attuali indignati vengono da lontano. Sono il frutto di oltre dieci anni di Forum sociali che si sono svolti ovunque nel mondo e hanno messo in collegamento diverse resistenze della società civile».
Contro la politica?
«La delusione non è per la politica ma per come viene concepita. I giovani non si riconoscono più negli attuali partiti che ormai sono diventati palestre per le ambizioni e le carriere di alcuni dirigenti».
Vale anche per i socialisti francesi?
«Non parteciperò alla campagna elettorale. La morte dell’attuale modello economico porterà anche alla scomparsa dei vecchi partiti. La partecipazione democratica avverrà soprattutto attraverso le reti, sarà una politica più orizzontale».
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