Pubblico e privato per il gran salvataggio

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E Goldman Sachs a questo punto siamo noi. Quando Wall Street crollò sotto il peso dei suoi eccessi nel ’29, Andrew Mellon reagì così: «Liquidate l’occupazione, liquidate le attività , purgate il sistema dal marciume».
Quell’approccio punitivo e morale, portò dritto alla stessa depressione che oggi Merkel ha imposto alla Grecia. Ma se invece a noi italiani in questa tragica messa in scena tocca il ruolo di Goldman Sachs, non è perché il Paese muova leve nel mondo o disponga di bonus da regalare ai suoi figli. Più tristemente, “siamo” Goldman perché come la grande banca di Wall Street dopo il crac Lehman anche noi italiani crediamo di essere «too big to fail»: troppo grandi per fallire, senza trascinare tutti gli altri nel gorgo. Goldman era certa che avrebbe dovuto essere salvata dallo Stato in caso di guai, dunque si concesse il lusso di prendere sempre nuovi rischi e di pagarsi superbonus a spese dei contribuenti. Secondo molti in Europa, anche Silvio Berlusconi ha la stessa “intuizione”. Quindi si permette anche lui di presentarsi a Bruxelles senza aver fatto la sua parte: per esempio, senza aver passato in tempi certi un credibile decreto Sviluppo.
Queste due traiettorie, di Merkel e di Berlusconi, ora sono in rotta di collisione sotto gli occhi dell’Europa e dei mercati. La reazione a Goldman negli Stati Uniti furono i Tea Party, cioè un sistema politico che si ribella e diventa ingestibile. Lo stesso copione si ripete ora in Europa: la Corte costituzionale tedesca e il Bundestag hanno tolto alla Merkel il potere di negoziare gli aiuti che vuole, in ultima analisi, per l’Italia. L’inedito doppio vertice a Bruxelles (oggi e mercoledì) nasce proprio perché la cancelliera domani dovrà  tornare al suo Parlamento a cercare di farsi dare un mandato a chiudere sul pacchetto già  discusso durante il weekend.
Così il sistema è ai limiti dell’ingovernabilità . La politica è diventata piccola piccola, ai minimi termini: la radice quadrata di una vera politica da statisti. E quando la politica si fa minuscola, l’unica uscita è una tecnofinanza al cubo che riempia il vuoto. La proposta attualmente sul tavolo per uscire dall’avvitamento è talmente sofisticata da far impallidire gli ingegneri che inventarono i subprime. Funzionerebbe così, benché la discussione sia ancora in alto mare: si creerebbe un partenariato pubblico-privato per aiutare il Fondo salvataggi a sostenere i Paesi in difficoltà , per ora soprattutto Italia e Spagna. I fondi sovrani dell’Asia e del Golfo e le banche private (queste ultime magari finanziandosi a tassi agevolati presso la Bce) potrebbero comprare titoli di Stato “tossici” sia all’emissione che già  sul mercato. Per i titoli all’emissione, le banche potrebbero godere anche delle garanzie del Fondo salvataggi europeo sul primo 20% di ogni perdita legata a un eventuale default futuro del governo emittente.
In questo modo gli investitori di mercato sono protetti dal rischio e possono segnare forti plusvalenze non appena i bond sovrani salgono di prezzo sotto la pressione degli acquisti. Il ruolo della Bce sarebbe “ripulito” dall’esistenza di intermediari privati. E l’Europa aggiungerebbe il potere finanziario del mercato ai 440 miliardi del fondo salvataggi. Non c’è dubbio infatti che quest’ultimo da solo non basta, nemmeno se coprisse emissioni di bond per oltre mille miliardi grazie alla formula delle assicurazioni al 20%. Quel sistema può infatti coprire solo il fabbisogno di liquidità  di Italia e Spagna per i prossimi tre anni, ma non ci sarebbe un eventuale problema del Belgio o della Francia. E la storia di questa crisi insegna che fare sempre e solo il minimo indispensabile all’ultimo momento possibile (la linea Merkel) è una garanzia di insuccesso.
Si vedrà  nei prossimi giorni se il sistema pubblico-privato potrà  davvero riempire il vuoto lasciato dalla politica. Ma non è un caso se è la Francia che sta lottando fino in fondo, senza arrendersi alla linea minimalista della Germania. Non ha la credibilità  compromessa dell’Italia né le responsabilità  di Roma nell’avvitamento in corso, dunque gode di una credibilità  infinitamente maggiore. Ma il presidente Nicolas Sarkozy sa che la prossima ondata dello tsunami può abbattersi sulle sue rive. È una corsa contro il tempo. Ma se la politica e i suoi interpreti non crescono di qualche centimetro, nemmeno la magia finanziaria più creativa basterà  a evitare il baratro a Andrew Mellon e Goldman Sachs.


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