Partito l’assalto finale a Sirte, ultimo bastione gheddafiano. E i civili?

by Sergio Segio | 4 Ottobre 2011 7:02

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 Ieri è o dovrebbe essere cominciato l’assalto finale degli insorti contro Sirte, l’ultima città  importante rimasta nelle mani delle forze leali al colonnello Gheddafi (che continua uccel di bosco). La città , sulla costa a metà  strada fra Tripoli e Bengasi, ha un valore sibolico oltre che pratico in quanto è il luogo in cui è nato Gheddafi (ieri è caduto il suo villaggio, Qasr Abu Hadi, una ventina di km a est).

Dopo tre settimane di assedio, la città  e i suoi abitanti sono alle stremo ma l’emergenza umanitaria non sembra preoccupare, in questo caso, nè la «comunità  internazionale» nè la Nato, accorsa «in difesa dei civili» attaccati dall’esercito di Gheddafi in marzo. Il Cnt aveva annunciato una tregua di 48 ore per domenica allo scopo di consentire l’evacuazione e la fuga dei civili presi fra due fuochi (tre con i raid della Nato). All’alba di ieri migliaia di persone hanno lasciato la città , dove acqua, cibo, medicinali scarseggiano. Ma nella giornata gli scontri sono stati così aspri che un secondo convoglio della Croce rossa ha dovuto invertire la marcia (il primo era entrato in città  sabato).
Manca solo Sirte perché il Cnt proclami «la liberazione» del paese e annunci finalmente quel nuovo governo transitorio più volte dato come imminente e che non ha ancora visto la luce. E forse anche perchè la Nato annunci la fine della campagna di Libia, prorogata per altri 3 mesi il 21 settembre scorso.
Ieri il segretario Nato Rasmussen ha detto che «siamo molto vicini» alla fine delle operazioni» ma anche che «siamo pronti a continuare fin quando sarà  necessario per la protezione dei civili dagli attacchi».
Attacchi di chi e contro chi? I civili sotto attacco degli insorti non rientrano in questa tipologia per la Nato, come dimostrano gli appelli (inascoltati) al Cnt di Amnesty e Human Rights Watch perchè cessino le violenze contro i gheddafiani e i neri (libici e sub-sahariani). E come dimostra il fatto che solo ieri la Oim, Organizzazione internazionale delle migrazioni, ha potuto avviare – via terra, verso il Ciad – l’evacuazione di 1200 migranti subsahariani, fra cui non solo «mercenari» ma donne e bambini – da settimane bloccati e vessati a Sebha, la città  nel sud sahariano della Libia, da poco conquistata dai «liberatori».
Sul piano politico in tutta evidenza i contrasti fra le varie anime del Cnt non sono risolti. Più di un mese dopo la conquista di Tripoli, in una conferenza stampa a Bengasi, il «presidente» Abdel Jalil ha annunciato ieri un «rimpasto» di governo che secondo l’informatissima al Jazeera risponde «ai desdieri delle fazioni isalmiste» (desideri?). La maggior parte dei ministri per il momento resta al suo posto, compreso il contestato «primo ministro» Mustafa Jibril (l’amico di Sarkozy), che anzi è diventato anche titolare degli esteri ma che ha dovuto rassegnarsi ad annunciare le sue dimissioni una volta completata la «liberazione» del paese.
La futura costituzione si dice che escluderà  tutti i componenti del Cnt dal nuovo governo. Vedremo se sarà  vero e se varrà  per tutti. Però per il povero ministro Frattini, reduce dallo smacco subito nella sua prima visita nella «Tripoli liberata» della settimana scorsa, il rimpasto non è segno dei contrasti interni e della temuta forza degli islamisti (ieri Rasmussen si è detto «preoccupato» per il rinvenimento di 9 tonnellate di gas mostarda ritrovate a Sebha e per la scomparsa di 5000 o 10000 missili sam-7 dagli arsenali di Gheddafi) ma un segnale «di stabilità ».

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