by Sergio Segio | 13 Ottobre 2011 7:26
WASHINGTON.Il presidente americano Barack Obama tira dritto, ma certamente il voto del senato dell’altra notte è un altro ostacolo grande quanto una montagna sulla strada della sua rielezione. «Non accetterò un no come risposta» sul piano a sostegno del mercato del lavoro, ha detto Obama parlando al Latin Heritage Forum e invitando gli americani a fare pressione sul Congresso con e-mail e lettere. Il Senato ha infatti bloccato il piano presentato dall’Amministrazione da 447 miliardi di dollari a sostegno del mercato del lavoro. Un piano su cui Obama aveva chiesto condivisione ai repubblicani, con un atto di responsabilità .
Il no del Senato rischia – ha ammonito il segretario al Tesoro Timothy Geithner – di causare una nuova recessione: «Se il Congresso non agisce, la crescita sarà più lenta e più persone saranno senza lavoro». La recessione, in realtà , è alle porte per altri motivi, anche se l’affossamento del piano ne aumenterebbe l’impatto. Ufficialmente, la disoccupazione in America è al 9,1%, con un leggero e percentualmente non rilevabile miglioramento in settembre.
Geithner è partito all’attacco dei repubblicani, che controllano il Senato e dove, nel voto procedurale, non è stata raggiunta quota 60 voti, necessaria per avviare il dibattito. L’obiettivo di Obama è riprovarci al più presto. «Se il Congresso non agisce è perché i repubblicani non vogliono fare nulla per aiutare l’economia», ha detto il ministro con toni da aperta campagna elettorale. Il piano presentato da Obama «è buono e renderebbe l’economia significativamente più forte. Economisti indipendenti hanno stimato che il progetto creerebbe uno o due milioni di posti di lavoro» aggiunge Geithner. «L’economia si trova in una posizione migliore di quando il presidente ha assunto l’incarico: abbiamo molto lavoro da fare ma siamo in una posizione migliore per le misure prese dal presidente. Ora il dibattito è su come rendere l’economia più forte nel breve e nel lungo termine. Il presidente ha presentato un piano, che è buono. Ritengo che abbiamo l’obbligo di fare qualcosa ora per far tornare gli americani al lavoro il prima possibile».
Geithner ha poi sottolineato altri temi: l’economia americana «è danneggiata» dalla crisi del debito dell’Europa, insistendo che i paesi della Ue dovrebbero agire «con più forza. Gli impegni presi sono promettenti ma il mercato vuole l’azione. Ho fiducia: in Europa non ci sarà una nuova Lehman Brothers» osserva Geithner, con riferimento allo scricchiolio del sistema bancario del Vecchio continente.
Fra i problemi americani, c’è poi sempre la Cina. Lo yuan si è rivalutato in termini reali del 10% dall’estate 2010 ma Pechino deve fare di più e gli Stati Uniti «stanno facendo pressione», ha detto ancora Geithner. Il pressing dell’amministrazione segue quello del Congresso sulla Cina, con il Senato che ha votato a favore di un progetto che spinge la Casa Bianca a essere più aggressiva nell’imporre dazi e sanzioni nei confronti dei paesi che manipolano le proprie valute. Il piano difficilmente diventerà legge, con la Camera che non ha intenzione di esprimersi al riguardo perché teme una guerra commerciale.
Nel campo repubblicano, intanto, Mitt Romney si consolida come principale candidato in vista della nomination per le elezioni presidenziali americane del 2012. L’ex governatore del Massachusetts, forte della sua esperienza economica come uomo d’affari di successo, ha dominato il dibattito fra gli otto aspiranti candidati, organizzato l’altra sera in New Hampshire da Washington Post-Bloomberg e WBIN-Tv. Dal confronto sono usciti perdenti due altri candidati su cui era puntata l’attenzione, il governatore del Texas Rick Perry e l’uomo d’affari afroamericano Herman Cain. Cain, che ha avuto una recente crescita di consensi, aveva puntato molto sulla sua ricetta del cosiddetto «9-9-9» per risolvere il problema del deficit americano. Ma la proposta, che prevede un’aliquota del 9% per le tasse sul reddito, alle corporation e i beni al consumo, non ha retto alla prova delle critiche degli altri candidati.
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