No Tav, corteo senza incidenti e taglio simbolico delle reti

by Sergio Segio | 24 Ottobre 2011 6:42

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CHIOMONTE – Alla fine ieri in Val di Susa ha prevalso il buon senso e un’intensa attività  «diplomatica» sotterranea ha permesso a tutti, forze dell’ordine e manifestanti, di attribuirsi la vittoria della battaglia delle cesoie. Che in valle tirasse un’aria diversa dal 3 luglio scorso e che nessuno, né la polizia ne i No Tav, avessero voglia di scontrarsi lo si era capito già  da qualche giorno. Dal movimento infatti continuavano ad arrivare segnali rassicuranti: i report di polizia e carabinieri sottolineavano che anche i duri di Askatasuna, reduci della battaglia di Roma, avevano improvvisamente abbracciato il pacifismo giungendo a «calmierare» anche gli antagonisti arrivati da mezza Italia e soprattutto dalla Francia.
Per le forze dell’ordine la giornata di ieri inizia quando è ancora buio: sono le sei quando i primi reparti arrivano ai posti loro assegnati lungo i 40mila metri quadrati della recinzione del cantiere Ltf. Nelle aree di servizio dell’autostrada che alle 10,30 sarà  chiusa nel tratto tra Susa e Oulx carabinieri e agenti di polizia in assetto antisommossa fanno la fila alle casse insieme a manifestanti che sfoggiano magliette No Tav. I Cacciatori di Sardegna però hanno passato la notte a perlustrare i sentieri che dalla montagna scendono al cantiere mentre la Digos ha un’idea geniale e fa sbarrare il sentiero Balcone che da Giaglione porta alla baita Clarea, l’obiettivo del corteo dopo le recinzioni, da una rete improvvisata su cui spicca l’ordinanza prefettizia che delimita la «zona rossa». I controlli agli imbocchi della valle danno i primi risultati: quattro ragazzi e una ragazza sono fermati a Rivoli perché hanno caschi e maschere antigas, un sesto è bloccato a Giaveno con le cesoie, altri otto sono controllati a Torino. Le persone controllate a sera saranno 747. I manifestanti si ritrovano al campo sportivo di Giaglione. Speravano di essere almeno diecimila, sono molti di meno. A fine giornata giureranno di essere stati settemila, la questura dirà  invece che erano appena quattromila. Tutti sono a volto scoperto, le cesoie nel corteo si contano sulle dita di una mano anche se ne spicca una enorme di cartone. Salgono verso il cantiere ma la diplomazia «sotterranea» è già  in corso: osservatori No Tav possono entrare nel cantiere, dietro i reparti schierati. In più carabinieri e polizia non muovono un dito quando i duri del corteo salvano la faccia tagliando la rete che sbarra il sentiero Biancone, a più di due chilometri dalla recinzione vera del cantiere.
Alla baita Chiarea arrivano in più di tremila, alla spicciolata, passando per il greto del fiume. I plotoni di carabinieri e polizia li chiudono in una morsa. Le reti sono a soli cento metri ma pensare di raggiungerle è un suicidio. Alberto Perino, il pensionato che in questi anni è diventato la voce dei No Tav, può però dire di aver vinto, di essere arrivato alla baita. «Un punto che non ci interessava altrimenti l’avremmo presidiata», spiegano carabinieri e polizia. Oltre la baita però c’è un muro di scudi ed elmetti. I No Tav si riuniscono in assemblea, decidono di aver vinto e Perino esorta: «Torniamo indietro, sta per scendere il buio e i boschi sono pericolosi di notte». Resta un manipolo di ostinati che improvvisa uno spettacolo di tamburi e danze e urla una, due, cinquanta volte: «Giù le mani dalla Val Susa». Poi anch’essi spariscono tra gli alberi. Alle 17,30 l’autostrada è riaperta, i reparti tornano alle caserme. Questore e prefetto di Torino possono dire: «Le recinzione del cantiere della Tav di Chiomonte non è stata raggiunta né danneggiata». I No Tav dal canto loro sottolineano: «Abbiamo conseguito i nostri obiettivi». Un nuovo appuntamento è però dietro l’angolo: c’è l’esproprio dei terreni. E forse in quel momento sarà  dura aver buon senso.

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