Nigeria, anniversario blindato

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Nella prova di forza c’è tutta l’ammissione di una preoccupante debolezza. La Nigeria arriva alle celebrazoni per il cinquantunesimo anniversario dell’indipendenza, che cade il primo ottobre, senza essersi minimamente rifatta il trucco. Anzi, sembra un paese in guerra. Raccontano di un conflitto non più strisciante i posti di blocco e i veicoli militari schierati quasi ovunque. L’esercito ha di fatto preso il posto della polizia nel mantenimento della sicurezza interna. Lo stato, specialmente il nord musulmano, è militarizzato. Colpa soprattutto, ma non solo, della minaccia Boko Haram, la setta radicale islamica che solo un paio d’anni fa sembrava un lontano ricordo e invece è tornata ad essere un incubo reale che ha fatto centinaia di morti. Un nemico che ha progressivamente cambiato forma e alzato il tiro, ampiando la tipologia degli obiettivi – non più solo poliziotti e soldati – e il raggio d’azione. Anche tenendo presente l’ultimo attacco eclatante, quello alla sede delle Nazioni Unite di Abuja, la capitale federale, le autorità  hanno rafforzato i controlli in previsione di nuovi attentati. Un report che i capi delle agenzie di sicurezza si stanno passando in questi giorni menziona una serie di obiettivi giudicati ad alto rischio: la sede della Banca centrale nigeriana, quella del ministero delle Finanze, la Corte Suprema, il parlamento – che un paio di settimane fa è stato sgombrato per un allarme bomba – il quartier generale dell’esercito, della polizia – già  attaccato – e della Nncp, il colosso nazionale che gestisce la ricchezza petrolifera del Paese, per citarne solo alcuni.

Ai piani alti si respira un nervosismo contagioso. La presidenza ha chiesto a tutte le agenzie di farle avere i documenti relativi a Boko Haram, sia per quanto riguarda le azioni della setta che la risposta di polizia e intelligence. Una sfiducia che filtra all’estero e che spiega il perché ad Abuja siano operativi da settimane anche agenti dell’Fbi, ai quali è stata affidata la sicurezza della sede Onu, dopo il siluramento del responsabile e del suo vice, un francese e un kenyano. Ma con quali forze si possa vigilare sulle celebrazioni resta un mistero. La polizia è stata quasi esautorata e l’esercito è già  schierato in forze. “Non ci sono più uomini nelle caserme”, ha detto un alto ufficiale al Daily Trust. Solo a Maiduguri, la città  in cui Boko Haram è nata e dove ha colpito di più, il numero dei soldati – tenuto segreto – secondo fonti interne equivale a quello di un’intera divisione. Ma non c’è solo l’operazione Restore Order, ci sono anche l’operazione “Aradu”, nello stato del Gombe, che vede l’esercito schierato contro le gang di rapintatori; l’operazione “Zenda”, nel Benue; “Mesa” nella città  di Lagos e nell’omonimo stato è stata stabilita soprattutto per proteggere le istallazioni petrolifere e le sedi principali dei soggetti coinvolti nel business petrolifero. Ma l’esercito è schierato anche nel Borno, nel Kaduna (Operazione Yaki), nel Bauchi e lungo i confini che corrono tra il Benue da una parte e il Nasarawa e Taraba dall’altra, a causa delle violenze di tipo etnico e religioso. Le stesse che da anni insanguinano il Plateau e che di recente hanno avuto una recrudescenza.

Non si tratta di una violazione della legge: la sezione 217 della costituzione nigeriana prevede che all’esercito possano essere delegati poteri in materia di sicurezza interna. Ma se ne sta abusando. E questo è il sintomo di un fallimento politico. La violenza religiosa che infiamma il Plateau, il dilagare di Boko Haram che ormai è diventata una minaccia alla sicurezza nazionale, così come il banditismo che affligge diversi stati del sud sono esasperati da scelte politiche miopi. “L’inabilità  del governo federale di completare progetti utili e cruciali che avessero un impatto sullo sviluppo non ha giovato”, si legge nel report consegnato lunedì al vicepresidente Namadi Sambo dal comitato governativo su Boko Haram. Scegliendo l’opzione militare, la Nigeria si condanna ad avere ancora più paura, a non risolvere i problemi attuali e a crearsene di nuovi nel futuro prossimo. In questo quadro, torna a farsi sentire anche il Mend, la formazione guerrigliera che da anni lotta per l’indipendenza del Delta del Niger, tornato a farsi sentire mercoledì 28 settembre, con una mail in cui annunciava un attentato in occasione dei festeggiamenti per la festa dell’indipendenza. Il remake dell’incubo già  vissuto l’anno scorso, quando due bombe esplosero a Eagle Square uccidendo 15 persone, episodio per il quale è sotto processo proprio un ex leader del Mend. Abuja e Lagos in queste ore sono città  sotto assedio: forze di terra, marina e aviazione sono in stato d’allerta e hanno centinaia di soldati già  schierati, gli operativi dei servizi segreti dell’Sss sono stati sguinzagliati nelle aree ad alto rischio e il presidente Goodluck Jonathan venerdì ha convocato le autorità  religiose cristiane e musulmane per una sessione di preghiera congiunta che si è svolta contemporaneamente in tutti i 774 governi locali del Paese, per chiedere “il perdono dei peccati, protezione e unità  della Nigeria contro tutte le sfide”

 


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