by Sergio Segio | 2 Ottobre 2011 6:35
NAPOLI — Non scende in battibecchi con coloro che, dal fronte leghista, hanno contestato il suo stop alle smanie separatiste. Ma tiene il punto e non arretra d’un palmo, Giorgio Napolitano. Collega il futuro politico e istituzionale del Paese alla grande crisi economica (come aveva fatto Bossi, evocando la secessione «per salvare la Padania»), e avverte: «L’Italia non crescerà se non crescendo tutta insieme, Nord e Sud… se non mettendo a frutto le risorse e le potenzialità della nostra gente. Un’Italia disunita e divisa, oggi sarebbe ai margini dell’Europa e del mondo moderno».
Certo, non è la frustata dell’altro ieri. Eppure c’è coerenza tra l’aspra denuncia delle «grottesche» ipotesi coltivate dalla Lega su una Padania che «non esiste» e il richiamo che il capo dello Stato rinnova ora da Napoli, con una serie di messaggi che cadenzano l’intera giornata. Il tema domina i suoi pensieri e lo spinge a richiamare ancora il valore dell’unità nazionale, «antica e nuova allo stesso tempo». Dovere d’ufficio? Ovvio che sì, ma stavolta c’è anche qualcosa di più forte e assillante, dentro di lui. C’è il fantasma delle tensioni che percorrono l’Italia e che lo spingono a intervenire senza riguardi per nessuno. Lo spiega lui stesso: «Devo seguire con attenzione — me lo impone la Carta costituzionale — le vicende molto complesse del Paese, cercando di restare assolutamente imparziale rispetto ai partiti e alle posizioni politiche». Insomma: è un po’ come se confidasse che non c’è alcun pregiudizio o aprioristico accanimento, da parte sua. Tantomeno intenti destabilizzanti sul governo, secondo le recriminazioni del Pdl. Solo ammonimenti dovuti, ed erga omnes.
Esercizi di vigilanza che Napolitano mostra di estendere pure al virus dell’antipolitica, contagiosissimo in questa stagione confusa. «Si impreca molto contro la politica, ma stiamo attenti: la politica siamo tutti noi», sillaba nella chiesa di San Gennaro extra moenia, affollata da operatori delle fondazioni che lavorano per creare sviluppo nelle aree difficili. Aggiunge: «È politica costruire qualcosa di fondamentale dal punto di vista sociale come voi fate, come fa il cardinale Sepe, come fanno i presidenti che guidano le fondazioni capaci di rendere possibile ciò che altrimenti non lo sarebbe».
Un appello all’impegno della società civile, affinché faccia «vivere la Costituzione con una spinta dal basso» e spazzi via il «velo oscuro» che sta calando su istituzioni e partiti. E, quanto alla «Costituzione vivente che segna la strada», sottolinea come essa «da sola non sia garanzia per la concretizzazione degli ideali, ma è comunque un impegno vincolante per chi fa politica e rappresenta le istituzioni» (pure, e anzi soprattutto, per i ministri leghisti). Inviti che ripropongono — quasi alla lettera, per la parte sull’antipolitica — concetti da lui già utilizzati venerdì e che sembra dunque arbitrario interpretare, come qualcuno pretende, in chiave di risposta al «j’accuse» lanciato da Diego Della Valle. Si infervora e si emoziona, Napolitano, circondato dall’affetto della gente. A tratti perfino si commuove, come nelle tappe tra il rione Sanità e Nisida, quando ricorda il dovere di «dare speranza ai giovani».
Perché, insiste, «se non si pensa al loro futuro, allora non si è degni di rappresentare l’Italia». Di più: «Non si può immaginare l’Italia con un prestigio internazionale se non si mettono a frutto le energie dei giovani».
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