Mr. Wikipedia e la legge bavaglio “La Rete fa cadere chi censura”
ROMA – Nella storia di Wikipedia due date sono fondamentali: la prima è il 25 gennaio 2001, giorno del debutto in rete di quella che sarebbe diventata la più grande enciclopedia del mondo, con oltre sei miliardi di voci scritte da anonimi volontari; la seconda è il 4 ottobre 2011, quando la sezione italiana ha indetto il primo sciopero dei contenuti per protestare contro una norma del disegno di legge sulle intercettazioni. «Una proposta totalmente idiota» l’ha definita su Twitter il fondatore di Wikipedia James Wales che oggi sarà a Bologna per parlare ad un evento dei giovani imprenditori della Cna.
Sapeva della decisione dei wikipediani italiani? Era stato coinvolto?
«Mi avevano detto qualcosa, ma è stata una decisione solo loro, anche se l’ho condivisa totalmente».
Lo sciopero di Wikipedia è una cosa che non si era mai vista prima.
«Sì, è stata la prima volta nel mondo. In passato ci era capitato di fare dei comunicati per difendere la libertà di espressione, ma mai era stata assunta una posizione tanto drammatica».
In rete si dice che lo sciopero abbia provocato qualche malcontento anche fra i wikipediani.
«Alcuni sono stati sorpresi, ed è normale, anche perché il contenuto di quella proposta di legge non lo conosceva nessuno fuori dall’Italia. Ma tutti hanno esultato quando la norma è stata ritirata, è stato davvero un meraviglioso successo».
Molti hanno avuto l’impressione di una entrata in campo di Wikipedia sul terreno della politica. È così?
«Se si tratta di difendere la libertà di parola e il diritto di accedere alla conoscenza, Wikipedia ci sarà sempre. Per il resto la risposta è no, non faremo politica. La neutralità è uno dei nostri punti di forza».
Ma perché prendere una posizione così dura contro il governo italiano e tacere in altri casi? Vi sembra così grave la nostra situazione?
«Certo che ci sembra grave. Noi operiamo su scala globale e naturalmente in certi paesi abbiamo problemi molto più seri. Penso alla Cina, dove siamo stati “bannati” per tre anni e dove ancora certe pagine sono filtrate. Ma l’Italia è in Europa, è un luogo dove uno pensa che la libertà di parola non possa essere in pericolo. E quella norma invece faceva l’esatto contrario: far tacere migliaia di blogger non ha alcun senso nell’era di Internet».
Ha mai incontrato Silvio Berlusconi? Che opinione si è fatto del nostro premier?
«Non l’ho mai visto. So che la sua voce è la più editata nella Wikipedia italiana e non mi sorprende. Certo deve essere problematico avere un premier che controlla gran parte dei media».
Per fortuna la politica non controlla Internet.
«Non conosco abbastanza la vostra situazione, ma ho l’impressione che anche per questo motivo Berlusconi non durerà ancora a lungo».
Commentando la situazione italiana lei ha detto: noi siamo i cittadini del mondo e grazie alla rete non ci faranno più tacere.
«Sì, l’ho detto».
Sembra la Dichiarazione di Indipendenza del Cyberspazio di John Perry Barlow. Qualcuno potrebbe dirle che è una roba di altri tempi.
«No, è una cosa che vale adesso ed è molto importante che lo difendiamo ogni giorno: noi siamo qui, in rete, e stiamo parlando e non ci potranno fermare. Per la diffamazione esistono già delle leggi, si possono migliorare, ma far tacere la rete è impossibile».
Eppure i governi ci provano sempre, anche in Europa. Sembra che i politici abbiano paura di questa conversazione fuori controllo.
«Non è fuori controllo. È un autentico dialogo democratico. E non lo possono fermare».
Quando si parla della primavera araba, alcuni legano Twitter e Facebook a Wikipedia: che ruolo avete giocato?
«Siamo molto diversi da un social media: noi non trasmettiamo messaggi, non serviamo ad organizzare proteste. Ma se vogliamo avere una vera democrazia dove si prendono decisioni sagge, abbiamo bisogno di cittadini informati, impegnati e con una passione per la conoscenza».
Dopo dieci anni, quale futuro vede per Wikipedia?
«Vogliamo avere delle versioni in tutte le lingue del mondo, oggi siamo ad oltre 200. E’ importante che chiunque possa avere accesso alla conoscenza. Per esempio in questo momento stiamo esplodendo in Kazakhistan e siamo molto felici».
Si dice che siate in crisi, che manchino volontari.
«No, il numero degli editor si è stabilizzato. Succede quando un progetto diventa maturo. Ora dobbiamo allargare il tipo di persone che ci aiutano a scrivere le singole voci: vorrei più donne, più giovani e più anziani anche. Non solo geek & tech».
Ogni anno ritorna il problema delle donazioni che vi consentono di andare avanti: come sta andando?
«Bene. Ogni anno lanciamo una campagna e l’ultima è stata la migliore di sempre».
E l’Italia come va?
«Non so darle le cifre esatte: è nella media europea. Ma magari quest’anno avremo un boom. Con lo sciopero molti hanno capito quanto è importante quello che facciamo».
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Viviamo tempi in cui l’intervista di un deputato tedesco di seconda fila (il socialdemocratico Karsten Schneider) concessa ad un giornale locale (la Berliner Zeitung , letta quasi solo nella fu Berlino est) può servire da cartina di tornasole della crisi profonda in cui versa l’Europa. Una crisi che si caratterizza per enormi deficit di comprensione, alimentati anche da quanti dovrebbero aiutare a capire la realtà e, invece, sembrano dedicarsi ad una sorta di disinformacjia di stampo neoliberale.