Merkozy. Ecco come nasce l’asse Parigi-Berlino
È come al cinema o a teatro, dove baci e abbracci non coinvolgono gli intimi sentimenti degli attori, cosi come i cazzotti provocano finti dolori. L’insieme di quei gesti fanno tuttavia un film o una commedia. Ed è quel che conta. Lo spettacolo, più o meno riuscito, accende le fantasie, sollecita le idee. Influenza in varia misura le azioni. La fiction finisce col diventare realtà . L’intesa franco-tedesca è questo. Il grande regista è la storia. La quale ha finito col trasformare da geografia di guerra in geografia di pace l’ampio spazio europeo su cui Francia e Germania si stendono, una accanto all’altra in un fitto intrecciarsi di fiumi. Per il bene di noi tutti, su quella ribalta, a lungo insanguinata, è oggi d’obbligo un repertorio che ha come tema centrale l’intesa, se non proprio l’amore. Nella nostra stagione politica sono di scena sulle due sponde del Reno, Angela Merkel e Nicolas Sarkozy.
I due personaggi non si amano. Secondo alcuni si detestano. Lui la chiama talvolta, quando è tra i suoi, «la boche» (la crucca), ma questo non gli impedisce di abbracciarla e di darle il doppio bacio, alla francese, sulle guance, appena l’incontra sotto i riflettori. Lei affronta il rapporto come una scienziata in un laboratorio, o come un’attrice sul set. Controlla le emozioni non in armonia col copione, non manifesta sempre la contrarietà , l’irritazione, quando lui salta da un argomento all’altro, è impreciso, precipitoso, contraddittorio, insincero, non segue il lavoro sistematico di stile tedesco. Angela non ama il tipo di macho che incarna Nicolas. Lei è un fisico di formazione; il suo secondo marito è un uomo schivo, un chimico, che si mostra di rado; non hanno figli.
Lui, il francese, è invece un avvocato con la lingua sciolta, con una moglie cantante e indossatrice, e con figli avuti nei due precedenti matrimoni. Sono personalità di natura opposta. Ma interpretano l’intesa franco-tedesca come un obbligo al quale possono difficilmente sottrarsi. Ai loro occhi è dettata dalla realtà , poiché sul piano geopolitico Francia e Germania si considerano la spina dorsale del Vecchio Continente. Sono tra l’altro le principali potenze economiche dell’Unione europea, sia pure con un forte distacco tra l’una e l’altra.
La Francia ha sovrastato a lungo politicamente la Germania, che divisa, spaccata in due, era una potenza economica dai piedi politici d’argilla. Una nazione limitata anche dal passato nazista troppo recente. Riunificata, la Repubblica federale ha riacquistato tutto il suo peso. A renderla “normale” ha contribuito anche il ritorno della capitale a Berlino. Nonostante l’allargamento a Est dell’Unione abbia accresciuto l’interesse tedesco per i paesi di quell’area, il legame con la Francia continua a rappresentare, in particolare nei momenti di crisi, il vincolo principale con l’Europa. Garantisce l’impegno tedesco nel tormentato progetto di integrazione, che sembrava allentato dopo la riunificazione. La crisi della zona dell’euro ha imbrigliato la Germania riluttante. Il cancelliere Kohl dette alla Francia di Mitterrand, scettica di fronte al gigante tedesco che riemergeva, un pegno importante: il marco, diventato euro, la moneta comune. Alla Germania riesce difficile rinnergarla. Non può sconvolgere il Vecchio Continente, ancora una volta, nel giro di cent’anni. Sia pure senza violenza. La non sempre facile intesa con la Francia è una forma di esorcismo contro ogni eventuale tentazione.
Konrad Adenauer, primo cancelliere democratico nella Germania postnazista, diceva che in caso di crisi tra i due paesi, un dirigente tedesco deve guardare la bandiera che sventola sull’altra sponda del Reno. Ossia deve tener conto degli umori francesi. Diceva che era un insegnamento della storia, da seguire per evitare le tragedie del passato. Oggi non possono spuntare nuovi demoni. Madame de Stael potrebbe cantare di nuovo la sua Germania e Heine la sua Francia. Ma le differenze tra i due paesi amici non facilitano sempre l’intesa. Il centralismo di Parigi contrasta con il federalismo di Berlino. Il rigore nell’economia non ha sempre lo stesso significato nelle due capitali. Angela Merkel deve tener conto della sua opinione pubblica, che «non vuol pagare i debiti dei vicini». Nicolas Sarkozy deve tener conto della sua che giudica spesso i tedeschi «diversi e spilorci».
Quando funziona l’intesa franco-tedesca infastidisce, suscita gelosia, tra gli alleati; ed è invece invocata quando è in crisi. È insomma necessaria, indispensabile, e al tempo stesso irritante per l’Europa. Chi la trova un’espressione d’arroganza, un club riservato, un asse incurante dei diritti dei partner, non ha del tutto torto. Ma spesso soffre soltanto di un arido complesso di inferiorità . L’atteggiamento più intelligente, meno meschino, dovrebbe spingere a mettersi all’altezza di quell’intesa. A rendersi inevitabile, indispensabile, quindi credibile, se si è uno dei fondatori dell’Unione europea e si hanno dimensioni tali da potersi imporre. Soffrire di invidia, nella mediocrità , non è consigliabile.
L’intesa franco-tedesca è nata trionfalmente quasi cinquant’anni fa ed è entrata subito in una delle periodiche crisi. Il 22 gennaio 1963 il generale Charles de Gaulle, primo presidente e fondatore della Quinta repubblica, firmò, in un clima solenne, nella sala Murat del Palazzo dell’Eliseo, un trattato con Konrad Adenauer, il cancelliere tedesco. E ci fu uno storico abbraccio tra il francese di 72 anni, ufficiale di carriera ferito e fatto prigioniero nella Grande Guerra (1914-18), eroe della Resistenza nella Seconda Guerra mondiale (1940-’44), e per la seconda volta alla testa dello Stato, e il tedesco di 87 anni, democristiano, ex combattente pure lui della Grande Guerra, e restauratore dello Stato tedesco democratico occidentale, dal 1953, come cancelliere federale. Gli europeisti, anche in Francia, non si commossero davanti a quell’immagine carica di significati. La considerarono un passo falso. Un grave errore. Non interpretarono il “trattato dell’Eliseo” come un ulteriore gesto di amicizia tra due nazioni a lungo nemiche, e come un importante progresso dell’integrazione europea. Ritennero che firmando quel documento de Gaulle avesse rinnegato «l’Intesa cordiale» con la Gran Bretagna, si fosse inimicati gli Stati Uniti, ai quali la Francia doveva la liberazione dall’occupante tedesco, e, al presente, la difesa dell’Europa dall’Unione Sovietica.
In effetti de Gaulle decise di sottoscrivere quel trattato, che ufficializzava l’intesa franco-tedesca, per chiudere platealmente la porta in faccia all’America di J. F. Kennedy, il quale aveva appena proposto a Parigi la creazione immediata di una forza nucleare multilaterale, agganciata alla Nato. La proposta implicava ovviamente l’abbandono da parte della Francia della “force de frappe”atomica nazionale. Non solo de Gaulle aveva respinto l’offerta di Kennedy, ma aveva annunciato il rifiuto alla domanda della Gran Bretagna di entrare nella Comunità europea. Il presidente francese considerava Londra un cavallo di Troia degli Stati Uniti. Non si fidava. In quanto all’unificazione europea, egli non puntava su un’integrazione, non credeva negli Stati Uniti d’Europa, in cui i partecipanti sarebbero stati privati della loro indipendenza. Voleva qualcosa di simile a una confederazione, un’Europa degli Stati, che si sarebbero concertati per decidere una politica estera comune, fondata essenzialmente su una cooperazione franco-tedesca, ma ispirata dalla Francia. Questa politica estera doveva accentuare l’indipendenza europea nei confronti dell’America.
I tedeschi non erano però dello stesso parere e hanno subito deluso il presidente francese, aggiungendo al testo ratificato dal parlamento di Bonn, un preambolo in cui si sottolineava l’appartenenza della Repubblica federale all’Alleanza atlantica e alla Comunità europea. Seguiva l’intesa con la Francia. Pur definendo il “trattato dell’Eliseo” un avvenimento mondiale, de Gaulle non nascose l’irritazione per quelle righe di introduzione che ridimensionavano il testo originale, e commentò che in fondo i trattati «sono come le fanciulle e le rose: durano quel che durano». Konrad Adenauer se ne ebbe a male. Rispose che le rose, «come le piante che hanno più spine, durano a lungo».
Nonostante il bisticcio iniziale mezzo secolo dopo il “trattato dell’Eliseo” è ancora operante. Soltanto nell’82, con il repubblicano Giovanni Spadolini a Palazzo Chigi, e Franà§ois Mitterrand all’Eliseo, l’Italia e la Francia hanno concordato consultazioni regolari, sia pur meno frequenti ed estese di quelle con la Germania. E comunque non incluse in un trattato. L’intesa franco-tedesca è stata molto intensa tra il presidente liberale Valéry Giscard d’Estaing e il cancelliere social democratico Helmut Schmidt, e tra il presidente socialista Franà§ois Mitterrand e il cristiano democratico Helmut Kohl. L’assimetria ideologica non ha pesato sui loro rapporti. Importante, al momento dell’intervento americano in Iraq, nel 2003, è stata l’intesa tra Gerhard Schroeder e Jacques Chirac, entrambi opposti alla decisione di George W. Bush. In quell’occasione l’appoggio tedesco dette valore all’iniziativa francese.
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