Maroni apre al referendum Le elezioni si avvicinano

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ROMA — Quella valanga di firme per il referendum elettorale, un milione e 210 mila, non poteva restare ignorata. Come un sasso nello stagno ieri ha scosso i partiti e il primo a battere un colpo è stato il ministro dell’Interno, Roberto Maroni: «Sono rimasto impressionato dal numero di firme raccolte in così poco tempo, quindi è un segnale forte che va ascoltato e credo che si debba procedere al referendum. Non so se il Parlamento si metterà  a riformare la legge elettorale, ma se lo fa dovrebbe riformarla nel senso del referendum». Un’uscita a sorpresa, quella del ministro leghista, suonata a molti anche come un’indiretta sconfessione del «Porcellum», architettato anche dal suo amico e collega di partito Roberto Calderoli. Il «Porcellum», lo ricordiamo, è il sistema elettorale vigente: proporzionale con liste bloccate, in cui l’elettore cioè non può esprimere preferenze e i candidati vengono eletti secondo l’ordine di presentazione, in base ai seggi ottenuti dalla singola lista. Il referendum vorrebbe ripristinare invece il «Mattarellum» che c’era prima: un sistema misto in cui, però, per la parte maggioritaria, che è prevalente, viene eletto il candidato che ottiene più voti.

Comunque sia, sospinta da questa montagna di firme e invocata due giorni fa pure da Giorgio Napolitano, la nuova legge elettorale adesso tiene banco. Il presidente del Senato, Renato Schifani, è categorico: «Quello del Capo dello Stato è un appello che non può restare inascoltato ed è compito del Parlamento farsene carico, individuare delle soluzioni che risolvano il problema grave della disaffezione dell’elettore nei confronti della politica». Tradotto: prima del voto popolare, ci pensi la politica. Anche se Daniele Capezzone, radicale in gioventù e oggi portavoce del Pdl, dice: «Sbaglia chi demonizza il referendum». Di certo, il dibattito nella maggioranza, dopo le parole di Maroni, ha subìto un’accelerata. Per il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, in Parlamento non ci vorranno per forza tempi biblici: «Se si vuole cambiare la legge elettorale solo per introdurre le preferenze, mantenendone l’impianto, lo si può fare in 48 ore…». Plaude il vicepresidente del Senato, Domenico Nania: «Un semplice emendamento di poche righe consentirebbe a questa legge (il Porcellum, ndr) di essere la più democratica in circolazione». Il vicecapogruppo del Pdl alla Camera, Osvaldo Napoli, sembra invece pensarla come Maroni: «La volontà  dei cittadini va rispettata e sotto questo aspetto la permanenza del governo Berlusconi ne è la migliore garanzia».

E qual è l’opinione del ministro Calderoli, cioè colui che, insieme ad altri, escogitò il «Porcellum» o «legge porcata» che dir si voglia? «La riforma della legge elettorale potrebbe essere approvata nella primavera del 2012. Ma non per evitare il referendum…», sottolinea il ministro della Semplificazione, che in Parlamento — spiega — l’anno prossimo vorrebbe riuscire a tagliare anche il difficile traguardo della riforma costituzionale. E’ d’accordo con lui Fabrizio Cicchitto, il capogruppo del Pdl a Montecitorio: «Quanto al metodo elettorale, però, io dico no al sistema delle preferenze, che fu una delle cause della crisi della Prima Repubblica».

Il presidente della Camera, Gianfranco Fini, osserva malizioso: «Ci può essere la scappatoia di chi dice che è meglio andare a votare con questa legge», cioè con il «Porcellum» già  l’anno prossimo, nel 2012, mandando tutto all’aria. Pensiero condiviso dal leader dell’Udc, Pier Ferdinando Casini, secondo il quale non ci sarà  il referendum e neppure la riforma parlamentare: «Si andrà  al voto». Anticipato, naturalmente.

Dal centrosinistra, invece, arrivano soprattutto attestati di apprezzamento per Maroni: «Le sue mi sembrano parole oneste», dice Arturo Parisi, coordinatore politico del Comitato referendario. Più incalzante Rosy Bindi, la presidente del Pd: «Maroni fa bene a prendere sul serio il referendum, ma ora deve essere capace di controllare i suoi amici della maggioranza, perché non siano tentati di sciogliere le Camere. Un milione di firme sono una cosa seria, ma se anche Maroni fa sul serio, allora deve aiutare a creare le condizioni per un governo di responsabilità  nazionale. Che è l’unico modo per fare in Parlamento una legge elettorale condivisa».


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