by Sergio Segio | 6 Ottobre 2011 6:52
ROMA — «Un provvedimento per la ripresa a costo zero non avrebbe alcun senso», dice Maroni. E non è un’analisi economica quella del titolare dell’Interno, ma politica: perché è sul decreto per lo sviluppo che il governo si gioca la partita decisiva. È facile quindi decrittare il messaggio che il dirigente della Lega rivolge a Berlusconi, e per certi versi anche a Bossi: senza un intervento che dia l’idea di un autentico rilancio e di un’operazione coraggiosa, l’esecutivo è destinato alle secche, esposto al pericolo che si sfaldi tutto. L’analisi del responsabile del Viminale coincide con quella dei maggiorenti del Pdl, preoccupati che un provvedimento dall’impianto debole trasmetta a sua volta la debolezza del governo, lo metta alla mercé di una nuova offensiva dei mercati, imponendo al capo dello Stato un intervento pubblico che aprirebbe nuovi giochi in Parlamento.
Ecco qual è la posta in gioco dietro lo scontro tra lo «sviluppista» Berlusconi e il «rigorista» Tremonti. Con una crisi a novembre «è scontato che non ci sarebbero elezioni anticipate», prosegue Maroni, lasciando intuire che a quel punto le carte passerebbero nelle mani del capo dello Stato: «Diverso sarebbe se il governo arrivasse a gennaio», conclude il ministro dell’Interno. Per riuscirci il Cavaliere deve però forzare la mano con il titolare dell’Economia, proprio quanto gli chiede lo stato maggiore del Pdl: un decreto da cento miliardi di euro che — senza patrimoniale e con un corposo progetto di dismissioni — risponda nei fatti al downgrading di Moody’s.
Si spiega perciò cosa vuol dire Maroni quando sottolinea l’inutilità di «un provvedimento per la ripresa a costo zero», e si spiega la tensione tra il premier e l’inquilino di via XX Settembre, i ripetuti incontri a vuoto, e le fumate nere che costringono il governo a rimandare di settimana in settimana il varo del decreto. Tremonti appare a Berlusconi come «un commercialista matto», Berlusconi appare a Tremonti come «un premier cinturato». E intanto il «dossier sviluppo» resta una cartellina vuota per quanto piena di proposte, la prova — secondo il titolare dell’Economia — che «stanno facendo solo casino».
L’impasse politico si riflette sul Paese, come rileva un sondaggio riservato svolto dalla Loren consulting il 28 settembre: secondo il report — che è stato esaminato da rappresentanti di governo e leader di partito — «il 61% degli italiani teme (molto o abbastanza) il default dello Stato». Più preoccupati sono i dipendenti del settore pubblico (73,3%) rispetto ai lavoratori del comparto privato (57,4%). Si tratta di un dato che nell’arco di tre settimane «è cresciuto del 15%». E il «sentiment» della popolazione ha colpito l’esecutivo, se è vero che — secondo l’istituto di ricerca — il 62% degli italiani ritiene il governo «non in grado di garantire la stabilità economica». Il giudizio negativo su Palazzo Chigi non si è però proiettato sui partiti di maggioranza, siccome il centrodestra nel suo complesso cala nello stesso periodo solo di mezzo punto (al 39,4%). I cocci li prende solo Berlusconi.
La tesi di un’imminente crisi di governo è sorretta dalle difficoltà del Cavaliere, è alimentata dallo scompiglio che c’è nei gruppi parlamentari del Pdl, e persino da voci di Transatlantico secondo le quali anche delle banche tedesche sarebbero impegnate nell’opera di lobbing per mandare a casa il premier. Ma questi boatos confliggono però con lo stato d’animo di Casini, che pure dovrebbe far parte di questo disegno e che tuttavia ieri — nell’Aula di Montecitorio — ha sfogato la propria esasperazione con alcuni deputati del Pdl. «Convincete Silvio a farsi da parte, altrimenti quello vi sotterra tutti», ha esclamato il capo centrista. Nulla di nuovo, si direbbe, se non fosse per la chiosa: «A me non interessa se sotterra solo voi. Il problema è che sotterra anche noi». Una preoccupazione che Casini aveva espresso poco prima, nel corso di una riunione con il gruppo dell’Udc.
Non c’è dubbio che siano in corso delle manovre per mettere in crisi il governo, e che il mese di novembre è la dead line per l’operazione. L’impresa però non è facile. Il gioco al momento è ancora nelle mani del Cavaliere, a cui resta una carta in mano: il decreto sviluppo. Per usarla, lo stato maggiore del Pdl gli chiede di regolare una volta per tutte i conti con Tremonti, dando subito una dimostrazione di forza con la nomina del nuovo governatore di Bankitalia. Ma nonostante il rapporto con il premier sia logoro, il ministro dell’Economia continua a bloccare la «promozione» di Saccomanni, direttore generale dell’Istituto di via Nazionale, e insiste perché la scelta ricada su Grilli, attuale direttore generale del Tesoro. È l’ultima trincea di Tremonti, sostenuto da Bossi.
Malgrado nel Pdl ci sia chi — come Crosetto — ormai auspica pubblicamente le sue dimissioni da ministro, l’inquilino di via XX Settembre non demorde. «Lo so che vogliono la mia testa», commentava giorni fa con alcuni esponenti della maggioranza: «Me ne posso andare anche domani mattina. Non ho interessi personali, lo faccio per l’Italia». Una confidenza che il responsabile dell’Economia ha farcito di pesanti critiche verso il futuro presidente della Bce, Draghi, suo vero bersaglio nello scontro su Bankitalia, e considerato «il regista» di una fantomatica «operazione»: «Il Berlusca — così Tremonti ha chiamato il premier — non vuole ascoltarmi. C’è un disegno internazionale contro il nostro Paese con l’obiettivo di spogliarlo di suoi asset più prestigiosi, a partire dalle banche. Aiutatemi per farglielo capire».
Resta da capire se il Cavaliere avrà la forza per imporre le proprie scelte di governo. Il decreto sviluppo sarà la prova decisiva. Come dice Maroni, «un provvedimento a costo zero non avrebbe alcun senso». O forse sì: quello della resa.
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